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CHIESA DI SANT’ERCOLANO A PERUGIA E IL PRESEPE NAPOLETANO 2013 DELL’ARCHITETTO MICHELE BILANCIA

Se parlo le lingue degli angeli. La nostra Sant’ Ercolano, la “chiesa nella roccia”, risuona delle note del brano di J.M. Stevens, Se parlo le lingue degli angeli, magistralmente eseguito dal Coro di Monteluce, diretto da Francesco Mancino. E gli angeli parlano davvero dalle pareti di questa fascinosa e affrescata chiesa ottagonale, dedicata al nostro amato patrono di Perugia. Si chiude così la serata dell’Epifania, insieme alla bellezza, la storia e l’aneddotica del presepe napoletano, questo dell’architetto Michele Bilancia, che ogni anno ingrandisce il suo già magico presepe di nuovi pastori. Sarà narrata la storia, la curiosità dei luoghi e dei personaggi del presepe napoletano. Brevissimo excursus sui primi accenni e ritrovamenti di realtà presepiali, e poi lo sbocciare a Napoli.

Il presepe vuole trasmettere anche oggi il suo messaggio di quotidianità, esordisce Michele Bilancia, oltrepassare le barriere del tempo e dello spazio perché da sempre vuol rappresentare il semplice quotidiano. Così la natività diventa inossidabile. Nel suo trasmettere una realtà che ogni volta è corruttibile, e per questo ogni volta portatrice di una nuova opportunità, che in fondo è la nascita del bambino che si ripete. Una rinascita che a Napoli sarà interpretata, dal ‘600, come potere taumaturgico del bambinello e farà esplodere una pletora di interpretazioni di presepi: da un corpo di stoppa, ma animato da un’anima di ferro, si accenderà la fantasia che darà’anima e corpo alla statuina del presepe, il pastore. Dalla creazione di pastori diversi nascerà lo studio del costume, del vestito d’epoca o di famiglia e si inizierà ad allestire i presepi nelle chiese e nelle case, inizialmente soprattutto in quelle nobiliari. Presepi con pastori in terracotta, poi in legno, all’inizio con statue a grandezza naturale, con scenari meravigliosi riproducenti i propri palazzi o ville, committenze affidate ad architetti abili nel creare gli sfondi, dove posizionare il proprio sito o luogo.  Così nascono palazzi, ville, case, giardini, rupi, foreste, insieme a cascatelle, ruscelli in miniatura, fiumi, fontane e pozzi, antichi templi e spazi all’aperto dove viene sistemata la mangiatoia della natività.

Il presepe napoletano non dovrebbe avere mai meno di 77 personaggi- il numero 7 ritorna con la sua simbologia dell’universale, che unisce sfera divina e umana- pastori riccamente vestiti di pizzi e trine, di stoffe antiche o di poveri stracci, particolari legati al lavoro, all’arte, alle varie attività, per le strade o al chiuso di palazzi, come era la vita un tempo, come è oggi e come sarà.  Si parte dai colonnati della romanità, antiche rovine, sino ad arrivare alla sovrastante Basilica, con la sua croce bene in vista, che, rivela Bilancia, nel presepe non deve mancare mai, e ancora avanti e avanti, su per le ripide scale e sino alle case e le piazze del Medioevo. Forse la nostra città con la sua Fontana, inconfondibile gioiello del Pisano. Forse Perugia, ma anche tutte le nostre città medievali, con i lastricati di pietre antiche riconoscibilissime. Il presepe è il mondo della cristianità, ma è anche la quotidianità. Questa perenne attualità si manifesta anche nella tavola imbandita, in basso a destra nella via, con tante leccornìe, salsicce, vino, pani, cesti di uova per la felicità di un Pulcinella che suona il suo tamburello o nelle osterie o nel forno dove si cuoceva il pane, ma anche dove si creava la pasta che a Napoli si mangiava per i vicoli all’aperto. Il Vesuvio è presente nella tela di un pittore che a lato, seminascosto da un carro che passa, sta affrescando il celebre vulcano partenopeo, che non può mancare, con il suo pennacchio e i suoi vapori, che rappresentano metaforicamente il fumo dell’incenso nel turibolo. Studio filologico serio e fondante per ricreare i luoghi e vestire queste figure napoletane: i pastori, che questo era il nome primitivo di tutte le statuine del presepe. La storia entra dentro il presepe con la società.

Il Benino o dormiente, è il personaggio che sta sempre all’erta, tra la veglia e il sonno, perennemente rappresentato con gli occhi semi-aperti, perché costantemente pronto a prendere una nuova direzione, di percorso, ma anche metaforicamente di vita. Il Vinaio: o CicciBacco, il riferimento al vino è sempre presente nella doppia veste di sacrificio del sangue eucaristico, ma anche come vino da osteria, vino da bere per rallegrarsi. I Musicanti sono tra le figure più consolidate, sia i pastori che suonano per avvisare della avvenuta nascita, che la voce melodiosa degli angeli che richiama le genti. Dal ‘700 in poi, secolo d’oro per il presepe napoletano, con il regno di Carlo III di Borbone e per merito della fioritura artistica e culturale, anche i pastori cambieranno il loro sembiante. I committenti non saranno più solo gli ordini religiosi, ma anche i ricchi e i nobili. Così nei teatri,  nelle case nobiliari, ma anche  nei vicoli della città si fa musica, con la presenza di musici con strumenti dell’epoca che vengono rappresentati anche nel presepe con dovizia scrupolosa di particolari. Il Pescatore, di anime e anche di pesci, le acque, sotto forma di fontane o laghetto o ruscelli o fiumi,  sono sempre rappresentate nel presepe. Acqua come fonte di vita eterna, ma anche di sostentamento, ed il pesce come nutrimento, ma anche come simbolo stesso di Dio nella iconografia  dei primi cristiani. I Due Compari: zi’ Vincienzo e zi’ Pasquale, rappresentano il Carnevale e la Morte: in fondo sono i due opposti dell’anima partenopea, che passa dall’allegria alla tragedia, così come la canzone napoletana che passa dagli sfottò alla melanconica melodia. Il Monaco cercatore: viene interpretato in chiave dissacrante, l’esperienza cristiana della semplicità, una religiosità con la sporta. La Zingara: è una giovane donna che predice il futuro, che per il Cristo bambino sarà di morte sulla croce, infatti nel suo cesto porta sempre dei chiodi. La Filatrice e la Tessitrice: arcolaio e telaio sono sempre rappresentati come arti antiche di filatura e tessitura, come simbolo di perennità oltre che di perizia tecnica. Stefania: è una giovane ragazza che, quando nacque il Redentore, si incamminò verso la Natività per adorarlo. Ma, secondo la tradizione, fu bloccata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare il presepe. Allora, presa una pietra e avvolta in fasce, si finse madre e, ingannando gli angeli, riuscì ad arrivare fino a  Gesù, dove si compì il miracolo di un vagito. Gli Angeli: a miriadi e che piovono dal cielo, in una festa di giubilo. I Venditori: tutto è legato a mestieri o a prodotti della terra collegati quindi ai vari mesi dell’anno. I Re Magi: Rappresentano il viaggio notturno di quella stella, particolarmente lucente, che segnala loro il bambino. Rappresentano anche un passaggio e il continuo divenire, nel loro non fermarsi. Indovini, astrologi ? In origine rappresentanti di tre diverse etnie e in groppa a tre diversi animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante che significano rispettivamente l’Europa, l’Africa e l’Asia. Melchiorre, deriva da Melech, che significa Re; Baldassarre era un mitico re babilonese; Gasparre, per i greci significa signore di Saba. E i tre doni: oro, perché è il dono giusto per il Re dei Re; incenso, attesta la sua divinità: Gesù è Dio; mirra  usata nel culto dei morti profetizza la sua crocifissione, perché Gesù è anche uomo, mortale. Il loro viaggio è comunque un viaggio di attesa e di speranza in un evento.

Insomma il presepe rappresenta un dare vita a quelle notte santa- quel giorno che il cielo e la terra trattennero il fiato, come scrive Papa Ratzinger- che diventa realmente il vissuto quotidiano che può essere riscattato da questa santa nascita. Per ricominciare.

Marilena Badolato   maribell@live.it 6 gennaio 2013

AUTHOR - Marilena Badolato