IL 2 NOVEMBRE E UNA TAVOLA DA CONDIVIDERE: DA GIANNI E GIULIANA BATTA.
FAVE E CECI, NOCI E CASTAGNE, una minestra da condividere. E magari una zuppa con la fetta di pane irrorata di olio nuovo. Rifiutare il tempo che tutto livella e contrapporre ad esso il tempo delle stagioni, dei frutti della terra, quello ciclico che ritorna e conforta. Il tempo della vita-morte che è quello della Natura, quello dei campi. E il 2 novembre sembra proprio essere la data che prepara al lungo letargo invernale, la morte apparente della natura in attesa della rinascita primaverile.
MA ANCHE ALTERNANZA COME RECIPROCITA’, il reciproco dare e ricevere, il ricambiare. Così la minestra di fave o ceci, racconta la storia antica, era usanza donarla ai poveri proprio il 2 novembre, e indicava quella questua che ancora oggi avviene in molte località italiane in questa giornata. Poichè le fave, anticamente considerate un tramite con il mondo sotterraneo e rifugio, nel lungo baccello, delle anime dei morti, assumono il compito di nutrire nell’attesa, di generare e ridistribuire il patrimonio (anche alimentare) di una comunità, e risacralizzare così ritualmente i rapporti comunitari che le stagioni avverse che sarebbero arrivate (il lungo inverno) avrebbero rallentato o addirittura modificato.
COSI’ “PER I MORTI” si mangia, ci si riunisce a una tavola comune, si lascia, in alcune regioni, la tavola sempre apparecchiata. Una sorta di patrofagia simbolica, un mangiare il cibo dedicato ai morti per introiettarli e farli vivere sempre. Del resto banchetti funebri, cibi rituali, pranzi commemorativi, si rincorrono sin dall’antichità soprattutto nelle società dove forte è l’impronta agricola, per garantire loro ancora la vita, grazie al cibo, e anche oltre, l’immortalità. “La tavola così diventa il luogo privilegiato dove le distanze, anche quelle siderali, si annullano; il colloquio tra vivi si intensifica e quello con i morti riprende vita; lo scandalo della morte è scongiurato; i rapporti amicali e familiari si rinsaldano” (Ottavio Cavalcanti).
LA MORTE è così riassorbita nel ciclo vitale delle zolle di terra che sempre producono e produrranno. Ed è come se la tavola di riempisse di un cibo “condito” di presenze care e rassicuranti.
COSI’ OGNI ANNO, il 2 di novembre, la tavola di casa Batta si riempie di profumi e sapori, cucinati da Giuliana che ripete il rito di sempre: le fave nella gustosa zuppa irrorata dall’olio nuovo del proprio mulino; le salsicce, i fegatelli, la pagliata, le interiora che un tempo venivano sacrificate agli dei; le erbe del campo, a testimoniare il rapporto stretto con la natura; le fave dei morti, i biscotti dolci, oblunghi e lievemente schiacciati a emulare la forma dei legumi, da intingere nel nostro vinsanto; le castagne dei boschi, le caldarroste, cotte al fuoco della vita. E Teresa che ogni anno ci regala, entrata ormai nel mito, la sua crostata di frutta “ricamata” di zucchero caramellato, una icona di gusto. E gli stornelli di Peppe Fioroni, un grande artista a tutto tondo, che accompagna le parole dei canti con il suo splendido organetto. A santificare ancora una volta, e ancora tra amici, una festa.
marilena badolato