LA MARILYN DI WARHOL IN GIPSOTECA, MA SOLO PER DUE ORE.
DUE ORE CON LA MARILYN DI WARHOL. Davanti a lei qui in Gipsoteca, a Perugia. Tra bianchi gessi di capolavori di bellezza classica. Lei all’improvviso, coloratissima icona del desiderio, appare messaggio commerciale al pari dei prodotti alimentari, come le lattine di Campbell's Soup o le bottiglie di Coca Cola, la replicazione di un'immagine conosciuta, un sex symbol da "consumare", con una plateale accentuazione dei tratti femminili: il trucco pesante, le labbra sottolineate dall’eccessivo rossetto e contratte in un sorriso eternamente giovane. Una bellezza stereotipata e “confezionata” come una perfetta operazione pubblicitaria.
LA POP ART e l’uso di un colore sintetico, acido, squillante, saturo, piatto e compatto, che crea effetti bidimensionali, un groviglio colorato affascinante, quasi sullo stile del cartone animato, nasce interpretando la nuova società dei consumi che tradiva in un certo senso la bellezza classica in nome di una fruizione veloce e consumistica. E in Gipsoteca, accanto a grandi opere classiche che sanno stimolare una calma riflessione sulla bellezza, questa arte è vissuta quasi come una provocazione. Uno stimolo alla veloce fruizione e un altro alla pacata osservazione, tra loro dialoganti.
WARHOL scopre nell'oggetto banale e quotidiano, ma replicato in serie, grandi poteri comunicativi, un’opera d'arte che può vivere da sola senza alcun intervento da parte dell'artista. Anonima e perciò universale, anche se dotata della necessaria notorietà del personaggio o del prodotto rappresentati, sufficiente a connotarne l'immagine. E la riproduzione con metodo serigrafico si prestava in modo ottimale alla produzione di opere seriali destinate al grande pubblico, in aperta dissacrazione del concetto dell'unicità dell'opera d'arte.
“E DA QUI nasce l’accostamento con i gessi della Gipsoteca anche loro “replicanti” di opere d’arte, anche loro, con l’intento della diffusione popolare, del messaggio riprodotto. E la Marilyn di Warhol è stata collocata proprio nella Gipsoteca romana, perchè il mondo romano era specializzato nel riprendere i modelli iconici greci di cui ancora oggi troviamo copie. Del resto Warhol sceglie la serialità dell’immagine per dimostrare che l’arte deve essere “consumata” come qualsiasi altro prodotto commerciale. Uno stimolo, dunque, a mettere in discussione dei valori considerati prima immutabili, a ritenere lo stesso museo non come un luogo dove i sedimenti del passato assumono il valore di presenze statiche e inerti, ma il significato di elementi vivi e dialoganti ( Prof.ssa Cristina Galassi direttore del CAMS, Centro di Ateneo per i Musei Scientifici)
MA in questa Marilyn e nelle tante Marilyn dei ritratti seriali, in quelle labbra colorate da un rossetto che marca un sorriso eternamente giovane, Warhol, suo malgrado, riesce a cogliere ciò che non vuole: un riflesso straniante, la nostalgia per una interiorità nella quale la diva ( è scomparsa da poco tempo) non si riconosceva più, persa nella fissità di un'immagine che replica all'infinito il vuoto di una vita. E consegna così ai posteri una immagine che rimarrà per sempre.
E SABATO 26 GENNAIO sarà inaugurata la mostra “Andy Warhol …in the city” al Centro Camerale “G. Alessi" di via Mazzini a Perugia, 120 opere dell’artista tra grafiche storiche, litografie, serigrafie e offset, con tanti eventi collaterali in vari luoghi della città come una street art diffusa. E ben due mesi durerà la mostra, sino al 17 marzo 2019, che diventerà sicuramente un richiamo turistico importante.
marilena badolato