LE FAVE DOLCI DI GIULIANA BATTA PER OGNISSANTI.
E NON POTEVANO MANCARE oggi le fave dolci della mia amica Giuliana Batta, che ho assaporato con tanto piacere “intinte” nel buon vino rosso di Gianni. Una sorta di comunione golosa con gli amici, ma anche con i nostri trapassati. Ricetta splendida- un impasto di mandorle e zucchero calibrato dalla giusta dose di farina e chiare d’uovo ad amalgamare il tutto e dalla forma ovoidale e schiacciata- mutuata anni fa dalla Carla Schucani della storica pasticceria Sandri che preparava ed esponeva nella bella vetrina di Corso Vannucci (oggi spenta), insieme alle ossa dei morti- tradizione risalente al mondo etrusco- dolcetti dalle forme rituali in figura d’osso, realizzati sempre con zucchero e mandorle.
RITORNANO insieme ai legumi che gusteremo domani, fave intere e semplicemente lessate e cosparse del profumato olio nuovo oppure a minestra, quelle decorticate, o in zuppa con quella fettina di pane abbruscato che le accompagna.
ANCHE SE il Covid, per la prima volta, ci ha impedito di riunirci noi amici a casa di Giuliana e Gianni per la consueta conviviale e che domani forse saremo chiusi di nuovo in un lockdown con poche speranze, queste preparazioni ci confortano ricordandoci le nostre tradizioni a tavola che in queste giornate condividevamo con i nostri cari. E voglio ricordare anche le tradizioni delle nostre zone umbre del folignate e dello spoletino che festeggiano con la rocciata, la attorta a Spoleto, una torta di forma ovviamente circolare, come il torcolo, il roccio, il torciglione umbri, a significare la circolarità del ciclo vitale.
E’ LA classicità che considerava tale legume inferico forse per il colore nero che colorava alcuni baccelli, forse perché come scrive Plinio in un passo della Storia Naturale, “la sua singolare capacità consiste nel fatto che essa con le proprie radici sottrae linfa vitale dal sottosuolo e dunque dal regno dei morti”, o forse ancora per il verificarsi di casi di crisi emolitiche acute (quello che oggi conosciamo come favismo). Secondo Giovanni Lydo ( Ἰωάννης ὁ Λυδός), filosofo neoplatonico di Bisanzio, "le fave masticate ed esposte al sole acquistano sapore ed odore di sangue umano" e ancora "l'acqua nella quale si pone un infuso di fave si tinge di rosso, come se fosse colorata di sangue". Il legume quindi possedeva, alla luce di tali concezioni, "un valore carneo che lo faceva rientrare tra quei cibi che contengono una psuké", cioè un’anima.
ECCO il rituale descritto da Ovidio secondo il quale il pater familias gettava per nove volte dietro le spalle alcune fave per placare i Lemuri, i morti che non trovavano pace: […] Quando la notte è giunta alla metà e offre silenzio per il sonno, e il cane tace, e siete in silenzio voi variopinti uccelli, quello, memore dell’antico rito e rispettoso degli dei, si alza (scalzo: i piedi non hanno impacci) e dà segnali con le dita, unite al pollice, perché nessuna leggera ombra si imbatta in lui, se è silenzioso. Quando ha lavato le mani, rese pure all’acqua della fonte, si gira e prima prende le nere fave, e le getta alle spalle; ma mentre le getta dice: ‘io vi mando queste fave, con queste fave riscatto me e i miei’ […]
… e chissà che non possa servire a scacciare anche i virus…
marilena badolato