MARTEDI’ GRASSO E LE SUE “FRAPPE”.
FRAPPE, Chiacchiere, Bugie, Cenci, Galani, Crostole, Sfrappole, Nastrini, tanti i nomi regionali per queste frittelle tipiche del carnevale. Se nelle strade dell’antica Roma durante le celebrazioni dei Saturnali venivano offerti dolci fritti nel grasso di maiale dal nome frictilia, in Apicio, nel De re Coquinaria, troviamo la descrizione di dolci tipici del Carnevale: frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele.
MA L’ORIGINE vera e propria delle Frappe risale all’epoca rinascimentale. Con uova, farina e zucchero la ricetta compare per la prima volta con il titolo “Per far frappe, overo palle di pasta di strufoli” ne “La singolare dottrina”, testo del 1560 del fiorentino Domenico Romoli, detto il Panonto, uno dei grandi gastronomi rinascimentali insieme a Bartolomeo Scappi e Cristoforo di Messisbugo. Il suo trattato, ristampato ancora nel Seicento, comprende sia ricette che consigli alimentari. Ovviamente erano fritte nello strutto, che abbondava visto il periodo dell’uccisione del maiale, e successivamente servite con il miele. Nel 1570 riprende la ricetta Bartolomeo Scappi che scrive nella sua “Opera” “Per fare una pasta della quale se ne potrà fare palle e diversi altri lavorieri” aggiungendo agli ingredienti acqua di rose, così diffusa a quei tempi.
NEL Settecento appare il nome Flappe in Francesco Leonardi ne “ L’Apicio moderno” opera monumentale, dove l'autore consiglia di aggiungere nell’impasto sale, vino e burro: "impastate ott’oncie di farina con due uova, un poco di butirro, un poco di sale, ed un poco di vino bianco, che la pasta sia soda una cosa giusta” e di tagliare la pasta in fettucce larghe due dita, e poi annodarle e dopo averle fritte nello strutto, cospargerle di zucchero lissè, un velo di glassa a base di acqua, zucchero e chiara d’uovo.
TROVIAMO molte ricette nell’800 e nel dizionario gastronomico di Vincenzo Agnoletti “La nuova cucina economica” ne appare una che si arricchisce della scorza di limone grattugiata, quasi una versione “di magro” dove vi è l’utilizzo dei soli albumi e finalmente dell’olio d’oliva sia nell’impasto al posto del burro, sia per la frittura. Nel 1844 appaiono le Frittelle fiamminghe de “La cucina facile” in cui viene introdotta nell'impasto l’acquavite. Sempre a metà Ottocento Angelo Dubini pubblica i Nastrini delle monache o Gonfioni, seguiti dalla ricetta delle Frappe (intriconi) ne “La cuciniera maestra” del 1884.
L’ARTUSI e “Il cucchiaio d’argento” le chiamano usando il toscano Cenci, mentre Ada Boni ne “Il talismano della felicità” del 1927 utilizza Frittelline di carnevale, per poi scrivere che a Roma vengono chiamate Frappe. Infine Anna Gosetti della Salda nel suo “Le ricette regionali italiane” ne riporta quattro diverse versioni, secondo la divisione regionale: Chiacchere o lattughe in Lombardia, Sfrappole in Emilia, Cenci in Toscana e Crostoli in Trentino. Guglielma Corsi ne “Un secolo di cucina umbra” testo di ricette edito verso la metà degli anni sessanta del Novecento e ampiamente ristampato, aggiunge nell’impasto delle Frappe l’umbro vinsanto, mentre Ida Trotta nel libro “ Perugia a tavola” del 2017 inserisce nella ricetta un bicchierino di maraschino.
TANTE VARIANTI a dimostrare che una ricetta subisce modificazioni diverse in base al territorio in cui diventa tradizione. La cucina italiana si è trasformata durante i secoli per dare vita a una delle culture culinarie più interessanti e variegate del mondo. Nel caso delle Frappe forse la loro sopravvivenza è dovuta al successo di una ricetta semplice, ma ben identificabile nel panorama delle frittelle dolci di carnevale. Forse per la loro esistenza casalinga, artigianale, verbalmente appartata. Una pasta dolce, friabile, fritta rapidamente nell’olio. Così a carnevale, con una fragrante frittura che coniugava il piacere con la rapidità della preparazione ed il basso costo, l’allegria sembrava e sembra ancora oggi sciogliersi in bocca…
marilena badolato