50 E PIU’: BUON COMPLEANNO MUVIT, MUSEO DEL VINO LUNGAROTTI-TORGIANO.
DAI primi reperti di 5000 anni fa a Mantegna e Carracci, Picasso e Guttuso. Lungo il percorso di venti grandi sale espositive questa bevanda ludica che muove i primi passi dai riti dionisiaci, diventa qui nel MUVIT, il Museo del vino di Torgiano frutto del prezioso studio della Fondazione Lungarotti, veicolo culturale di conoscenza, cemento aggregativo di riti e miti religiosi e pagani insieme, tra pratiche umane di forza lavoro e letteratura alta. Un’armonica convivenza di materie povere e regali, estetica e sostanza, ceselli meticolosi funzionali al gusto, serietà e divertissement. Un dialogo sul filo conduttore del vino in un raffronto continuo tra manufatti e opere antiche e contemporanee, per finire nel bicchiere e sulla tavola ad abbracciare preparazioni culinarie golose donando nerbo e impronta.
SONO oltre 3000 le testimonianze. Alcune urne etrusche con i grappoli d’uva incisi dal lapicida ad accompagnare il defunto nell’aldilà, e ancora reperti archeologici cicladici: grandi brocche in argilla arancio lavorate e levigate a mano (Gruppo di Amorgos, III millennio a.C.) e versatoi ittiti; ceramiche greche, etrusche e romane; vetri e bronzi rappresentanti l’amore e la buona fortuna. Mentre al centro della sala relativa al simposio, risplende di luce propria la kylix (metà VI sec. a.C.) di uno dei più noti Piccoli Maestri, con la scritta “Phrinos mi fece sii allegro”. Ecco le anfore vinarie come apparivano ben impilate, una accanto all’altra, nella stiva di navi onerarie romane. In altre sale contenitori di straordinaria bellezza mandano bagliori di ceramiche di età medievale, rinascimentale, barocca: tra l’istoriato, il lustro, le raffaellesche delle più famose zone di produzione umbre e italiane, risaltano quelle rimandanti ai famosi “segreti” o a “inganni” che evocano riunioni conviviali. Tutte suddivise nei tre settori: il vino come alimento, medicamento, mito dove di particolare interesse è l’Infantia de Bacho, un piatto istoriato a lustro di Mastro Giorgio Andreoli da Gubbio, firmato e datato 1528 e tratto da un’incisione di Marcantonio Raimondi su idea di Raffaello. Ma anche le “vaselle” di ceramica popolare, non meno importanti per avere “nomato” persino il bel Relais di famiglia “Le Tre Vaselle” qui nello stesso palazzo seicentesco Graziani-Baglioni. I bicchieri in vetro, dalla tavola al salotto alla simbologia amorosa, narrano come bere in bellezza il nettare di Bacco: la caraffa modellata a “bevi se puoi” (Francia, XVI secolo); un bicchiere veneziano di Murano con anelli penduli azzurri (XVIII secolo) o quello inciso con simbologia d’amore (inizi XIX secolo); la straordinaria coppa realizzata da Josef Hoffmann con le asole ricavate nella doppia incamiciatura e quella su alto piede con volto femminile, disegnata e firmata da Jean Cocteau nel 1963 e realizzata dalla Fucina degli Angeli. E ancora la bottiglia turchese, anni Settanta, della Manifattura Venini realizzata con la lavorazione a punta di diamante sulla superficie fredda dell’oggetto finito, e l’opera Dalle origini alla vita (2018) di Giuliano Giuman, che attesta il continuo aggiornamento delle raccolte. E ancora disegni dal XV al XX secolo, edizioni rare di testi di viticoltura ed enologia, manufatti di arte orafa, tessuti che documentano l’importanza del vino nella cultura dei popoli che hanno abitato, nei millenni, il bacino del Mediterraneo e l’Europa continentale. In altre sale mestieri, attrezzi e corredi tecnici per la viticoltura e la vinificazione, così importante in Umbria, come il monumentale torchio a trave, detto “di Catone”, proprio di cantine signorili e monastiche. E non poteva mancare il nostro “vinsanto”, il “vino come Dio comanda”, certamente quello della Settimana Santa che doveva essere naturale ex genimine vitis. Accanto una collezione di oltre cento ferri da cialda umbri e italiani dal XIII al XVII secolo, con stemmi celebrativi familiari o blasonati perché corredi di nozze, o recanti scritti motti e sentenze e legati a questo nostro vino dolce per preparazione e per consumo.
ENTRANDO AL MUVIT, il Museo del vino e creatura Lungarotti dal 1974, ti accorgi di quanto questa famiglia del vino, Giorgio e Maria Grazia con le figlie Teresa e Chiara, abbia investito nel mondo enologico umbro, italiano, internazionale. Un’opera di tesaurizzazione e musealizzazione di forme e sostanze, di riti e miti, cultura e bellezza tramandati da millenni verso i nuovi millenni. E creando nel tempo, grazie alla perpetua passione di Maria Grazia Marchetti Lungarotti e alla sua curatela del polo museale e nella gestione della Fondazione Lungarotti, uno dei più importanti musei del settore.
MUSEO bilingue per parlare al mondo dell’immenso patrimonio culturale enologico. Museo pedagogico che trasmette anche l’educazione al bere consapevole, dove all’infanzia e all’adolescenza sono dedicati spazi e laboratori, totem lungo il percorso ad altezza di bambino e la possibilità di connettersi agli access point trasformando il proprio smartphone in una guida di ultima generazione. E ancora convegni e letteratura dedicata e soprattutto la possibilità di unire al percorso museale quello esponenziale della visita in cantina per apprendere le tecniche di vinificazione e degustazione. Insomma l’aver creato ante litteram un trinomio vincente: vino-cultura-ospitalità. Esempio virtuoso di come un territorio, il borgo di Torgiano, sia potuto crescere anche grazie a un vino.
E IL VINO sembra raccontare storie così antiche di chi nasce prima del tutto. E risalire a quando profumava di resina, menta, cedro e cannella come mostrano quelle quaranta grandi giare vinarie di 4000 anni fa ritrovate nei sotterranei di un palazzo in Terra di Canaan, nel nord di Israele. Forse la scorta di un vino migliore tenuto per occasioni importanti e forse il vino di quelle nozze raccontate dai Vangeli. Un vino complesso, con spezie, erbe aromatiche e frutta a fermentare tutte insieme per raggiungere la dolcezza voluta, un liquido per fare festa e raggiungere magari un’estasi dionisiaca. Poichè l’acqua era rifiutata se ci si voleva concentrare su ore d’amore: "E voi dove vi piace andate, acque turbamento del vino, andate pure dagli astemi: qui c’è il fuoco di Bacco".(Gaio Valerio Catullo 84 a. C. – 54 a. C.). Poichè con il vino era festa grande "Il pavimento splende, mani, tazze pulite. Uno ci pone in capo le ghirlande, un altro tende fiale di balsamo. Il cratere troneggia pieno di serenità. Altro vino promette di non tradirci mai: è in serbo nei boccali, sa di fiore. Ha ciascuno il suo pane biondo; la salda mensa è carica di cacio e miele denso. La casa è avvolta di festa e di musica" (Senofane di Colofone VI secolo a. C.). E d’improvviso, in queste sale, ti entra dentro il silenzio, solenne e primordiale, amplificatore naturale del desiderio di scoperta, di conoscenza. E arrivare sino ai nostri giorni diventa un autentico viaggio di emozioni e un mezzo per tramandare ai posteri non solo un grande patrimonio, ma anche un messaggio del sé. E si respira un flusso fertile che ha reso ancora più fascinoso questo luogo, già di per se stesso un po' magico.
APPENA FUORI gli sterminati vigneti perfettamente allineati che vestono queste colline, regalano quella linea curva dei bassorilievi verde-oro-rossastra che si distacca dall’infinito che è intorno. E appare come quadro bellissimo, un vero viaggio a colori. E i borghi e le case ruotano attorno ai loro campi, ai terreni, a quel vino da bere e da narrare, come se le costruzioni fossero nate dopo, con rispetto. E il vino respira in sintonia, parla la lingua della sua terra. Un paesaggio che sa di buono, perchè la verità del gusto comanda sempre qui in Umbria. Fuori una natura eccellente, mediata dal talento e dalla sapienza, dentro la complessità di un museo, ma sussurrata. La nobilitazione di una bevanda in sintesi con un sapere più ampio, che sia essenza stessa dell’Umbria in primis e più in generale d'italianità: l'arte, la cucina, il design, la tecnologia, l'industria, l'artigianalità, l'agricoltura, la letteratura, il sapere tricolore come complessità che trova qui il proprio punto d'incontro e d'espressione anche plastica, con vista sulle ubertose terre umbre come se anche la natura avesse messo del suo. Cose fatte con la mente, con le mani e con il cuore.
"In campagna, dopo una giornata di lavoro, gli uomini alzavano il bicchiere di vino all’altezza del viso, lo osservavano e gli facevano prendere luce prima di berlo con cautela. Mentre gli alberi centenari seguivano il loro destino, secolo dopo secolo e una tale lentezza rasentava l’eternità". (Pierre Sansot 1928 – 2005).
marilena badolato