UN GIRO A VIGNOLA E DINTORNI TRA LAMBRUSCO E CILIEGI IN FIORE
Colore e sapore, gli stessi in bocca. E’ come se quel rosa intenso fosse passato dalle ciliegie ai lambruschi di Grasparossa e Sorbara e all’aceto balsamico, per fare di questi territori un poligono di bontà. Vignola, Castelvetro, Sorbara, Spilamberto, Sassuolo, Maranello, Savignano sul Panaro, piccole frazioni di bellezza dove le viti a perdita d‘occhio, si mescolano, si alternano a ciliegi oggi vestiti di bianco candore, dai fiori immensi e immensamente grandi. I mente e nel cuore le colline dei ciliegi di Lucio Battisti, assaporo il gusto in bocca dei frutti che tra due mesi colmeranno quei rami. Vino, amarene, aceto balsamico si contendono colore, sapore, esistenza. Sono alla 45° Festa dei Ciliegi in fiore, qui a Vignola, dove il lambrusco Grasparossa di Castelvetro e quello di Sorbara si mescolano alle amarene nel gusto agro-dolce di un frutto e di un vino, e le bollicine son quelle di gente frizzante, e dove il balsamico è “tradizionale” e gelosamente protetto, e creato ancora, quello di casa, da famiglie che si sfidano nel prepararlo con ricette tramandate da secoli. E anche quello industriale, l’ “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop”, vede la luce dopo almeno 12 anni di invecchiamento e una dedizione continua di chi lo controlla amorevolmente nel suo lento percorso in barili. Vignola, il nome stesso, oggi simbolo di ciliegia, viene da “vineola”, piccola vigna, ad indicare la coltivazione della vite, in epoca romana largamente praticata sui terreni alluvionali del Panaro, una zona vitivinicola quindi da sempre. Viti e ciliegi sono gli uni accanto agli altri, l’abbinamento viene spontaneo: una “labrusca vitis”, ovvero un vitigno selvatico che produceva frutti dal gusto aspro e che soleva crescere ai margini delle campagne, come le amarene del resto, spontanee e selvagge. Il lambrusco, un vino rosso e brillante, frizzante o spumante, da servire fresco a 12 °C per cogliere appieno fragranze e profumi, è nato a Modena e da millenni rinnova il mito enogastronomico della cucina modenese. Il suo lungo romanzo si dipana attraverso il corso di innumerevoli generazioni di gente operosa, affonda le sue radici soprattutto nella cultura contadina, nei segni di un folklore che diventa patrimonio di civiltà. Lambrusco e amarene, amarene e lambrusco, colore e sapore, dolce e agro in bocca, agro e dolce nei piatti. Effetto rebound, rimbalza nel palato e si ferma in testa a meditare su questa terra e le sue famiglie di industriali. Le cantine dei lambruschi Grasparossa, Modena, Salamino, Sorbara: Settecani, Zanasi, Cavicchioli, Bellei, Villa di Corlo, Cleto Chiarli con il suo Lambrusco Vecchia Modena Premium così “elegante”, e il fine e raffinato Rosè, servito con quel miracolo del Grana che qui ha 36 mesi ed è morbido e si scioglie in bocca. La cantina Chiarli è bella, la casa padronale sa di storia: qui è vissuto il generale Enrico Cialdini, il luogo parla di grande raffinatezza che si trasmette alla bottiglie e al vino. Un vino da bere subito e così frizzante come questa gente che lo ha unito con sagacia, gusto, intelligenza al territorio e a quello che produce. Lo ha ancorato in bocca e al piatto, lo ha legato ad una cucina sanguigna, ricca di quei sapori veri che il lambrusco rimanda. Ma se volete stupirvi, se volete sognare, mangiate una gran frittura di “gnocco”, unito ai salami profumati, e “tortellini”, sì proprio loro, da prendere con le mani, piccoli ombelichi di Venere ripieni di carne e fritti, da abbinare a un calice di “Kir Reale italiano” preparato al momento: un dito di Fragolì Toschi, liquore di e con piccole fragoline di bosco e il Lambrusco Rosè Chiarli a colmare il bicchiere o la flute sino all’orlo. Elegante raffinato buonissimo in bocca. O le Amarene Toschi, pescate dal loro dolcissimo sciroppo e immerse in un Lambrusco Grasparossa secco, un calice servito fresco per un aperitivo, oppure ad accompagnare un dessert estivo. Per sognare Modena…e dintorni.
marilena badolato 11 aprile 2014