CIOCCOLATA O CIOCCOLATO STESSA DELIZIA DEL PALATO.
CIOCCOLATO O CIOCCOLATA fa lo stesso. Solido o liquida, stessa goduria semi-proibita. Ma il cioccolato fa bene: è una salutare, antianemica, antiossidante, corroborante virtù. Che faccia bene all’umore, si apprezza appena entra in bocca e scivola sul palato e lì si ferma un attimo, lo ricopre lentamente a donare un aroma inconfondibile. Sia un cacao monorigine, un pregiato cru, sia frutto di un blend, sia fondente con le sue alte o basse percentuali di cacao, ma anche al latte o bianco ancor più latteo che richiama il piacere del latte fresco e del burro di montagna, senti che in bocca è cioccolato. Quel lento, ma avido nello stesso tempo, assaggio. Si spalma, si distende per farsi apprezzare meglio, esce dal suo regno incantato, quello dei Maitres choccolatiers, e si fa subito strada nel mondo. E viaggia da sempre tra storia e leggende, tra segreti e magia, tra studio e perizia. Dalle fave di cacao alla tostatura, alla raffinazione, concaggio, temperaggio, modellaggio, un percorso che giustifica la sua fama di cibo degli dei: venire direttamente dalla fucina di Vulcano.
A LUNGO ALLO STATO LIQUIDO, prerogativa della nobiltà e del clero, delle corti e dei conventi, dove si provava a edulcorare con dolci spezie e se ne studiavano le qualità nutritive da adottare durante i lunghi digiuni imposti dalla Regola. Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, insieme agli accesi dibattiti di carattere medico sulla bevanda, nonché gli usi farmaceutici di essa, sorse in Europa una "gustosa" diatriba: l'assunzione della cioccolata interrompeva il digiuno quaresimale? In un periodo, in cui la religione investiva ogni aspetto della vita, il problema se la cioccolata, “bevanda di delizia”, rompesse o no il digiuno era di non trascurabile importanza. Religiosi, teologi e filosofi si schierarono pro o contro la sua assunzione. Per la cioccolata, nella sua forma densa, a metà strada tra la bevanda e il cibo, domenicani e carmelitani dissero che era necessario astenersi dall'assumerla nel periodo quaresimale, mentre i gesuiti e in parte i francescani asserivano che non interrompeva il digiuno. Fortunatamente sorse come sole il piccolo trattato “De chocolatis potu diatribe” del cardinale Francesco Maria Brancaccio, nel quale l’alto prelato sosteneva che la cioccolata rompeva il digiuno solo se densa, perché diventava cibo, più che bevanda. Si giungerà quindi alla accettazione di questo “ brodo indiano” come venne chiamato affinchè la sua assunzione fosse universalmente accettata, anche nel periodo quaresimale. Anzi il trattatello comprendeva persino il “metodo di preparazione” e alcune lodi finali rivolte alla bevanda salutare, perche “liquidum non frangit jejunum”.
Il cioccolato, quello con maggior percentuale di cacao, produce sensazioni gustative lunghissime. Morbide affascinanti calde avvolgenti. Take your time, per assaggiare il cioccolato. E’ la cultura del cioccolato che lo impone, e a Perugia è impressa nel Dna.
marilena badolato foto e trattato “ De chocolatis potu diatribe”: Pontificia Biblioteca Antoniana Basilica di Sant’Antonio da Padova.