CARNEVALE: CARNEM LEVARE O CARNEM LEVAMEN O CARRUS NAVALIS…
E’ CARNE(M) LEVARE, cioè il “sollevare dall’uso della carne, riferito in origine al banchetto d'addio alla carne che si celebrava la sera innanzi il mercoledì delle Ceneri” (Migliorini-Duro), oppure "carne levamen" cioè il sollievo della carne? O invece, ma per una minoritaria opinione, "carmen levare", cioè l'intonare canti di gioia per essersi liberati dalla schiavitù lavorativa invernale (ma sappiamo che più di canti di gioia storicamente erano grida acute e sberleffi). O ancora forse era il "carrus navalis" dell'esotismo orientale originario della Caldea di 3.000 anni fa, poi trasfuso nelle saghe medioevali del Nord-Est sassone? Il carrus navalis, la nave su ruote, usanza pagana e occasionalmente sopravvissuta fino al XVIII secolo tra i festeggiamenti del periodo, spiegherebbe l’origine del corteo carnevalesco, una processione come rito di rigenerazione. Non è quindi superfluo il dibattito sull’etimologia del termine, perché porta con sé il nocciolo della diatriba sull’origine dello spirito del Carnevale, se classica pagana (Car-Naval) o cristiana medievale (Carne-Levare). Le stesse maschere del carnevale sono figure pregne di rimandi pagani, precristiani e carnascialeschi i cui archetipi comici nascono nel mondo classico (greco e italico-romano-si pensi anche all’etrusco Phersu, da cui il latino persona, “maschera”, e quindi il nostro persona), poi demonizzate nel Medioevo dalla Chiesa.
IN effetti i vari nomi che la Chiesa aveva dato alla settimana di Quaresima erano: carnisprivium, carnisprivialis, carnelevarium, carnislevarium, carnelevamen, carnislevamen, mentre il nome più antico sembra essere carnem laxare attestato, secondo il linguista Du Cange in una Charta del 1050 «apud Murator. tom. 6. Antiq. Ital. med.aevi col. 229», e secondo il Sella carnelaxare del 1179. Tutti questi nomi della Quaresima, che troviamo in testi ecclesiastici (la maggior parte nella raccolta dell’Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adiacentium, 9 tomi, Roma 1644-1662), sono stati poi estesi al Carnevale, trasformando il carattere profano del Carnevale in quello sacro della Quaresima, intendendo contrapporre in generale la carne allo spirito.
NUMEROSE sono le interpretazioni di diversi studiosi, linguisti e antropologi (veri e non sedicenti…) che hanno trattato il tema del Carnevale, cercando di dare il loro percorso etimologico a questa parola:
SECONDO GIACOMO DEVOTO, autore del celebre vocabolario della lingua italiana, il termine deriverebbe dal latino carne-(le)vare, con dissimilazione della serie r (carnevare a carnevale), termine riferito alla vigilia della Quaresima, giorno in cui, per tradizione, si sollevava dall’uso della carne. Anche il linguista TULLIO DE MAURO concorda sull’etimologia del termine, che deriverebbe dalla locuzione latina medievale datata intorno alla seconda metà del XIII secolo. Analoga etimologia anche per il termine carnasciale ed il suo derivato carnascialesco, datato col Cavalcanti 1297, e derivante dalla locuzione latina carnem laxāre. Entrambi si collegano agli eccessi invernali nel consumo di carne, con esaurimento delle scorte prima della primavera, e con il precetto cristiano che imponeva una stretta osservanza della moderazione.
DA APULEIO A DIEZ. Si ha invece un primo nucleo esplicativo nel termine “Currus Navalis”, che in tardo latino si corrompe in “Car Naval” e quindi “Carnaval”, nell’ipotesi sostenuta da Friedrich Diez. Secondo il linguista la festa di Carnevale va assimilata ai festeggiamenti in onore di Iside che si tenevano in età imperiale il 5 marzo e che culminavano in una processione di maschere in cui era trainata una barca sorretta da un carro. Il Carnevale deriverebbe così da una festa in onore della “Nave di Iside”, l’“Isidis Navigium”. Fonte di questa tesi è Apuleio che nelle “ Metamorfosi” descrive proprio questo corteo presso una Colonia di Corinto.
JACOB BURCKHARDT approfondisce l’ipotesi affermando che nell’Italia Rinascimentale un po’ ovunque tra il XIV e il XV secolo vi erano durante il carnevale sfilate di carrozze che raffiguravano imbarcazioni e CLAUDE GAIGNEBET segnala dolci cerimoniali a forma di nave dati ai bambini durante le feste della Candelora e di S. Biagio.
FLORENS C. RANG suffraga la tesi del Car Naval rievocando l’enorme “Carro Navale” dei marinai renani e fiamminghi che festeggiavano nel Medioevo la riapertura della navigazione all’avvicinarsi della primavera. E ne porta la spiegazione più bizzarra: «[…] La Barca della falce lunare con le stelle, che ancor oggi ondeggia sull’Oriente dalla bandiera del Califfo (in quei paesi la luna nuova non si presenta all’occhio ferma e ritta sulla punta come una falce, ma mentre scivola distesa orizzontalmente come una barca), la nave che dalle acque del regno infero, nella rotazione annuale, innalza l’astro-sovrano verso l’alto firmamento […]». A Babilonia, attorno al 3000 a.C., in un'epigrafe si fa menzione di una festa in cui l'ancella prendeva il posto della signora, lo schiavo il rango del signore e il potente stava in basso come l'uomo comune. Festa dell'inversione dei ruoli, del trapasso tra le fasi lunari, dell'ebrezza sfrenata e della follia, della blasfemia. E propone una interpretazione originale: Carnevale da “Carni Levamen” ossia “sollievo della carne”, intesa come uomo liberato, sollevato da costrizioni e privazioni.
ANCHE UMBERTO MALAFRONTE nel suo testo dal titolo eloquente, “Car–Naval”, parte da questa ipotesi etimologica per le sue riflessioni filosofiche sulla “Stultifera Navis”, immagine emblematica del Carnevale nata nel Medioevo con le “Compagnie dei Pazzi o dei Folli”.
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CARO BAROJA JULIO nella sua opera El Carnaval, porta esempio di sfilate di imbarcazioni nei Carnevali spagnoli contemporanei, però, pur citando l’ipotesi del “Currus Navalis” non la condivide come origine etimologica. Sicuramente la sfilata del Car Naval è un rito che si trova di frequente nei Carnevali contemporanei anche come generici carri allegorici, ma accetta l’origine del termine carne levare, collegandola alle versioni spagnole dall’equivalente significato: “Carnal” è il periodo dell’anno in cui “si mangia carne”; “Carnes tolendas”, con il senso di dovere che porta con sè il gerundio, richiama il periodo che si approssima a quello in cui “deve esserci digiuno”; “Carnes tollitas” il periodo in cui la carne è già stata tolta e quindi “Antruejo”, in latino “Carni privium”, periodo “senza carne”. In Spagna con Carnes Tolendas si intendono gli ultimi tre giorni di Carnevale, introducendo di fatto con la privazione della carne il passaggio dal Carnevale alla Quaresima.
CARLO TAGLIAVINI parte dai termini basso-latini “Carne(m) Laxare” o “Carne(m) Levare” per arrivare all’antico fiorentino “Carnasciale” e all’antico veneziano “ Carlevar” e per assimilazione “Carnelevare” che per sincope diventa “Carne(le)vale”e quindi “Carnevale”. L’origine della parola è, secondo questa interpretazione, cristiana medievale e non più classica latina e rimanda al periodo di digiuno e astinenza, specie dalla carne, che si osserva in Quaresima, terminato il Carnevale.
CLEMENTE MERLO, famoso linguista e glottologo italiano, nel suo studio sui nomi romanzi del Carnevale sottolinea come più che la festa dell’eccesso, del godimento e della carne, sia la commemorazione della fine del godimento, l’ebbrezza dell’oggi insieme alla mortificazione, la privazione del domani; “non un inno ai sensi, alla carne, ma un grido di dolore, di rimpianto, il grido dell’animalità insoddisfatta, stanca forse ma non sazia, la quale pensa che tutto quel godimento sta per finire”.
SECONDO IGNAZIO BUTTITTA le ricorrenze di inizio anno non sarebbero tempi di festa, bensì feste del tempo: ecco allora il Carnevale diventa una manifestazione dove passato, presente e futuro «si consumano per rigenerarsi”. Lo affermava già Heidegger, che lo mutua da Platone, parlando di un tempo mitico che, semplificando, potremmo definire come tempo fuori dal tempo ma grazie al quale si torna nel tempo. Questi vuoti temporali servono fondamentalmente a garantire che il tempo continui nonostante il suo morire.
FRANCO QUACCIA: “In molti carnevali assistiamo anche a veri e propri scontri tra due entità opposte, tra due “fazioni”: le maschere “belle”, ovvero quelle buone (le più rappresentative sono quelle di angelo e monaco) e quelle brutte e cattive (diavolo, bestia). L’antitesi tra questi due tipi di maschere è senza dubbio il risultato di uno scontro tra l’universo endogeno della casa (o del paese o della comunità) nei confronti di quello esogeno, ovvero della selvatichezza, della foresta e della paura”.
PER MARCEL MAUSS, sociologo e antropologo, la festa è sempre una rappresentazione del cosmo, dove si fondono il sacro e il profano. Se il tempo della storia è solo lineare - i fatti si succedono uno dopo l'altro - il tempo del cosmo è circolare: le feste ritornano come ritornano le stagioni, perché si semina e si raccoglie, perché si esce dall'inverno e si festeggia la primavera, perché si celebrano equinozi e solstizi. Il Carnevale allora appare inquadrato in un dinamismo ciclico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi, in una dimensione metafisica. In primavera, tempo di rinnovata energia vitale, il Carnevale segna un passaggio aperto tra la terra abitata dai vivi e le anime e queste ultime hanno bisogno di corpi provvisori: le maschere che hanno spesso un significato apotropaico in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell'essere “non più naturale” o soprannaturale rappresentato. E per questo lo scherzo è prodromo della maschera. Dietro alla maschera si cela l'incognita mitica, essa nasconde l'indistinto che si riapproprierà del proprio genere o della propria identità solo grazie alla dimensione orgiastica del mescolamento da cui uscirà ridefinito, riaffermando la propria identità.
RICORDANDO CHE il Carnevale è ancora oggi metafora dell'antica anarchia-risate, sbeffeggio, soffietti e manganelli- e della diserzione-travestimento e maschera- rivolte contro l'autorità regnante che coscrive, impone, tassa. Carnevale è rumore, strepito-musica dissonante- per allontanare gli incubi legati a un tempo di sofferenza, è lancio di sassi e pietre -coriandoli e stelle filanti- contro l'oscurità minacciosa, è grida di angoscia -baccano e botti- dell'ansia che cerca disperatamente la Luce, è follia-libagioni ed ebbrezza- poichè solo l'eccesso dei folli può superare la paura di imbarcarsi per attraversare la tempesta della vita, tempesta che è anche simbolo della morte.
marilena badolato