CONFERENZA PER PERUGIA 1416: LE PIANTE MEDICINALI NEL MEDIOEVO
LA FITOTERAPIA E’ ARTE ANTICHISSIMA. Le piante entrano in preparazioni medicinali sin da tempi remoti a scopo benefico in pozioni miracolose o malefico in potenti quanto infallibili veleni. L’utilizzo delle piante si ritrova in tutti i sistemi terapeutici umani, da quelli più antichi e basati su osservazione ed empirismo, a quelli più sofisticati odierni. La medicina popolare si è servita da sempre delle piante, rimedi preziosi ed economici, subito disponibili e atti a risolvere problemi immediati. Nomi da ricordare sono quelli di Dioscoride Pedanio, medico greco fondatore della botanica farmaceutica, la cui opera De materia medica è rimasta come importante pilastro della farmacologia fino al primo ‘800; Ippocrate che già citava il rimedio, cioè la cura, come terzo strumento del medico accanto al tocco e alla parola; Galeno, che utilizzando il potere medicinale delle piante, introdusse farmaci di grandissima importanza, come quello basato sull’uso della corteccia di salice, che ha dato persino il nome all’acido acetilsalicilico che troviamo nella comune aspirina, o del laudano, utilizzato come anestetico, senza considerare l’ importantissimo apporto della medicina araba di Rhazes e Avicenna. La concettualizzazione ed elaborazione di queste esperienze furono basilari per tutto il Medioevo, che si arricchì dei nuovi contributi dei monaci dei monasteri e dei primi studi universitari. Alle piante si chiedeva il miracolo della guarigione dalle più comuni malattie, ma anche dalla infertilità o dalla temibile lebbra, dalla peste e sino alla cura e cicatrizzazione delle ferite che erano numerose sia nell’attività quotidiana che in tempi di conflitti.
NELLA TRADIZIONE MONASTICA MEDIEVALE lo studio e la coltivazione delle piante in orti specializzati era attività indispensabile non solo per la vita del monastero, ma anche per i pellegrini che vi giungevano, trasformando questi luoghi di ospitalità in veri e propri luoghi di cura per forestieri e per la stessa comunità che ad essi ricorreva. E il monacus infirmorum fungeva contemporaneamente da medico e da speziale e preparava misture in pozioni da bere, in tinture, e persino in pomate da spalmare a base di burro o lenimenti a base di olio d’oliva. Aveva poi anche il compito di annotare le ricette ottenute e di trascriverle poi raffigurando l’immagine della pianta stessa e l’organo da curare, favorendo così la nascita di splendidi erbari.
TANTISSIME SPECIE VERDI venivano utilizzate, talvolta in sinergia con i minerali o altre sostanze di varia natura. Il Partenio era indicato per tutte le infiammazioni; la Lavanda nei balsami profumati; la Salvia, come spiega il nome, era considerata una vera pianta salvifica e la Menta- da mens, mentis- favoriva la memoria, mentre nella specie piperita la digestione; il Tarassaco era di giovamento al sistema urinario e il Finocchio era ottimo contro la flatulenza, e ancora il calmante analgesico narcotico Giusquiamo; la Mandragora per ottenere la fecondità, ma anche per quegli effetti tossici che oggi conosciamo. L’ Iperico perforato o Erba di san Giovanni scacciava i diavoli e i cattivi pensieri se si guardava all’interno delle sue fessurazioni; l’Aloe dagli effetti miracolosi era un elisir di longevità e un potente cicatrizzante; l’ Ambrosia, nettare degli dei, donava l’immortalità; l’ Arnica stimolava il benefico starnuto; la Belladonna era utilizzata per ottenere quella pupilla dilatata segno di bellezza muliebre. O la curiosa Carlina acaulis il cui nome, narra la leggenda, deriverebbe da Carlo Magno che la usava per curare i suoi soldati colpiti dalla lebbra.
Perugia 1416 incontra la città. Ciclo di conferenze
Le piante medicinali nel Medioevo- Sala Sant'Anna Perugia
relatore Giuseppe Frenguelli, ordinario di Fisiologia vegetale, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali Università di Perugia.
marilena badolato