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DA 170 ANNI “SEMPLICEMENTE URBANI”: TUTTO IL MONDO DEL TARTUFO.

SCHEGGINO è un posto strano. Un po’ come tutta la Valnerina, terra di eremiti dalle cento celle e di Sibille dai vaticini arcani. Un borgo arroccato quel tanto che basta per stare ai piedi delle montagne ed essere inondati di una luce diversa, appena prima del paese. Scheggino d’inverno è sapori forti d’agnello, di cinghiale, di profumata norcineria e zuppe di legumi rari come roveja e cicerchia spesso in quel fantastico mesclum, l’ "imbrecciata", insieme a ceci, fagioli e lenticchie, regalo di quella serendipità che da sempre abita qui. E ancora le paste antiche di povertà di sola acqua e farina come gli “strangozzi”che devono essere “fini de pasta e erti de coltello” recita un detto locale, e il tartufo tutto l’anno, usuale un tempo, oggi “diamante nero” che sfrigola allegro in bocca. E dove mangi in locali informali, con una cucina di sostanza più che di apparenza. Quel genere di posti dove, appena entri, sai che hai già iniziato a prenderti cura di te con quel loro essere sempre rassicuranti. Scheggino tra montagne e fiumi sonori come il Nera, terra abitata un tempo dai Naharchi. che ne hanno preso il nome. Un paese in simbiosi con quell’acqua che lambisce le case creando un “ambiente liquido” di grande suggestione. Appena 500 abitanti in questa piccola “scheggia” di sperone roccioso, diventata famosa grazie al tartufo. Ed esplode questa bellezza primordiale nei vicoli, nelle strette vie arroccate, nell’incastellamento regalato dalla storia, nell’acqua che sgorga serena ancora oggi, dove nuota e si nutre del buono la trota Fario. Regina della fauna, saporita e delicata nel gusto e nel colore che, cosparsa di tartufo, è diventata ben presto un must grazie alle abili mani di talentuosi chef.

 

 

E I SUOI FIGLI non possono che portarsi addosso quel primo germe di intraprendente, fantasiosa, lucidissima follia che accomuna chi ha a che fare con i fianchi dei monti. E infatti ecco lo stupendo mistero del tartufo, “miracolo della terra” come lo chiamano gli Urbani. “E anche se siamo tutti convinti che le piogge estive e il clima favorevole siano determinanti, il tartufo non finisce mai di sorprenderci, poiché talvolta nascono tartufi di ottima qualità in periodi in cui il clima non è favorevole", spiega Olga Urbani. Si respira qui la cultura del tartufo, identitaria e radicata nel territorio da diventare anche uno dei collanti della biodiversità e dell’etnodiversità italiana, collegata com’è a forme pre agrarie di competenze e pratiche necessarie a quella salvaguardia ambientale che contrasta l’abbandono delle campagne. E così importanti da essere diventate Cerca e Cavatura del tartufo in Italia” Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità nel 2021.

 

 

SEMPLICEMENTE URBANI è il nome che ricorre in tutto il mondo se si parla di tartufo ed è anche la realtà di questa famiglia che da 170 anni, e giunta alla sesta generazione, riassume la storia del tartufo in Italia e probabilmente anche quello che ne rappresenta il futuro. Una famiglia che da sempre produce, crea, ricerca, studia il fungo ipogeo che profuma questo territorio. E indirettamente, mantenendo i tartufi nel luogo di origine, testimonia come rispettare i luoghi in cui si vive e come coltivare in armonia con l’ecosistema locale.“Ciò che siamo e ciò che facciamo sono la stessa cosa” ha riassunto con mirabile sintesi Olga Urbani, comproprietaria dell’azienda e creatrice dell’Accademia del Tartufo.

 

 

LA STORIA della famiglia parte da una discendenza iniziata nel 1852 con Costantino Urbani che avvia l’esportazione dei tartufi freschi in Francia, mentre agli inizi del Novecento il figlio Paolo allarga il raggio d’azione in Svizzera, Germania, Austria, Svezia e anche in alcune regioni italiane. Ma è Carlo Urbani, suo figlio, che con l’insostituibile aiuto di sua moglie Olga e con grande capacità imprenditoriale consolida la posizione nel mercato mondiale mediante l’ingegnoso metodo di conservazione e commercializzazione di questo “miracolo della natura” creando la “Urbani Tartufi”, una moderna industria che diventa unica nel mondo. Il “Re del Tartufo Nero”, come lo chiamano in America, acquisisce un primato che sarà sviluppato dai successivi eredi, Paolo e Bruno, che rappresentano la quarta generazione e a cui si deve la creazione di una vera e propria industria tecnologicamente avanzata. Bruno Urbani è alla guida attualmente del Gruppo e l’attuale generazione Urbani, composta da Olga, Carlo e Giammarco, ha dato vita a importanti filiali estere e a realtà come il Museo del tartufo, l’Accademia del tartufo, la Scuola Internazionale del tartufo, la Truffleland e la Urbani Travel & Tours. Olga, figlia di Paolo, dirige i diversi settori dell’azienda e gestisce l’amministrazione del gruppo, le pubbliche relazioni, l’immagine aziendale, gli affari legali e societari, mentre Giammarco, figlio di Bruno, guida la direzione commerciale Italia, USA ed i nuovi mercati emergenti e sua è l’intuizione di inaugurare la linea Urbani Funghi. Carlo invece, anche lui figlio di Bruno, segue i mercati esteri e l’Italia, assicurando la distribuzione del fresco e dei prodotti conservati. Con Luca e Francesco Loreti Urbani, figli di Olga, si è arrivati alla sesta generazione in azienda. Luca è nel settore marketing estero, mentre Francesco è passato al suo primo grande progetto: la tartuficoltura. Ultima nata, Ginevra, è figlia di Giammarco e Paola Agabiti Urbani da sempre al fianco del marito nella sua attività imprenditoriale.

 

 

L’ACCADEMIA DEL TARTUFO: DOVE LA STORIA DIVENTA SAPORE. Vetrate aperte e inserti trasparenti per restare a contatto con la terra e la natura circostante mentre si crea una cucina-fucina di interazioni e sperimentazioni. Vernissage culturali, scuola del tartufo, eventi culinari internazionali abitano qui, dove la ricerca diventa accostamenti inusuali, mix di gusti, scoperta di sapori, aromi, profumi, tendenze del momento. Un punto di riferimento per gli chef di tutto il mondo e per gli amanti del tartufo che vogliono conoscere le origini e l’ impiego in campo culinario di questo prezioso fungo ipogeo. L’Accademia del Tartufo è un centro tecnologico gastronomico ricco di conoscenza non solo sul mondo del tartufo, ma anche su nuovi prodotti grazie all’esame attento dei mercati, dei mutamenti, delle esigenze. Piatti dove si utilizzano tartufi di altissima qualità che regalano gusto e unicità. Dal bianco molto intenso di sapore e profumo, al nero superlativo che somiglia tanto a Scheggino, al sapore della terra, al muschio dei boschi umidi. Il bianco compagno del burro, della panna, dei formaggi, il nero che invece si sposa a meraviglia con l’extra vergine di oliva, quello che fa grande la nostra Umbria, dove è tutto Dop. Così i piatti e le preparazioni gourmet dell’Accademia spesso diventano un optical bianco e nero, un’alternanza di colori dove l’uno, il nero pregiato, dona maestosa concretezza e sostanza e l’altro, il bianco, eleganza e arrendevole piacevolezza profumata.

 

 

FANTASTICO il “raviolone al tuorlo fondente” realizzato col tuorlo dell’uovo esaltato dal tartufo che fuoriesce da un guscio di pasta e inonda il piatto di giallo dorato e profumo intenso: un binomio classico di eccellenze nazionali presentato in forma molto elegante. Le uova, uno degli alimenti più antichi e diffusi nelle cucine di tutto il mondo, hanno da sempre ispirato grandi chef che hanno cercato di valorizzarle e impreziosirle. Pensiamo al Cyber Egg di Davide Scabin, all'Uovo di seppia di Pino Cuttaia, all'Uovo alla Cracco di Carlo Cracco, o ancora all'Uovo di carciofo dei Fratelli Serva e all'Uovo 65° carbonara di Roy Caceres. Ma anche nel passato i cuochi hanno dedicato intere sezioni dei loro ricettari alle uova, escogitando metodi sempre nuovi per servirle. Basti pensare a “La guide culinaire” di Escoffier che, nella parte all’uovo dedicata, inizia in questo modo:Un trattato sull'uovo, questo Proteo della cucina, deve ancora essere scritto”. Oppure al trattato di cucina “L’imperatore dei cuochi”, che il conte Vitaliano Bossi pubblica nel 1894, che contiene 53 ricette con l’uovo protagonista. Ma risalendo ancora la storia si incontrano le preparazioni più strane come le “ova nel speto” in cui un sottile spiedo rovente viene accuratamente infilato attraverso il guscio delle uova fresche che vengono poi cotte direttamente sul fuoco. O la ricetta di Maestro Martino da Como, il cuoco più celebre del Quattrocento, delle ova informa de raffioli” che mette al centro della composizione un semplice uovo, facendone il ripieno di un raviolo fritto: Farai una pasta al modo de le lasagne che non sia sottile né molto tenera, et rompevi dentro dell'ova fresche, buttandogli sopra del zuccharo et de le spetie dolci con un pochetto di sale, ad uno ad uno ligarai queste ova ne la ditta pasta al modo che faresti i rafioli, et falle allessare o frigere como ti piace. Ma meglio seranno fritte; similmente poi conciarai le ditte ova in forma di pastelli mettendogli con esse le cose sopra ditte et giognendogli un poco d'agresto si ti piace, cocendo li ditti pastelli a modo d'una torta, overo frigendole, ma che non siano l'ova troppo cotte, perché è di tal natura l'ovo che quanto più si coce tanto si fa più duro et diventa pegiore”.

 

 

GLI URBANI hanno anche dato vita alla Scuola Internazionale del Tartufo, dove appassionati ed intenditori possono non solo conoscere a fondo il mondo del tartufo, ma anche fare camminate in montagna per "annusare la storia annusando la natura" grazie alla “caccia al tartufo” con un alleato: il cane dal fiuto infallibile. I paesaggi boscosi dove perdersi camminando, la cantilena del cercatore, i musi concentrati e la danza di code quando il tubero è finalmente trovato sono un bell’esempio di antico rituale e di collaborazione fra l’uomo e il cane, un “asso della cerca” addestrato al riporto.

 

 

E POI TRUFFLELAND voluta da Francesco Urbani, un’azienda specializzata nella tartuficoltura, cioè nella produzione e vendita di piantine da tartufo micorrizate (ovvero piante, come i lecci o i carpini neri, ottenute da seme certificato o da micropropagazione/talea, unite in simbiosi con le specie di tartufo). Al momento sono già oltre un centinaio gli agricoltori partner di Truffleland che “coltivano” tartufi. E la tartuficoltura presenta numerosi vantaggi: le nuove piante producono ossigeno e compensano la CO2, la loro coltivazione permette di avere sotto controllo i terreni destinati a esse, prevenendo il dissesto idrogeologico e consentono il recupero di luoghi finora improduttivi. Mentre l’altra realtà, la Urbani Travel&Tours organizza viaggi di gruppo da ogni parte del mondo verso la nostra terra, la nostra gente, il nostro gusto, verso tutto quello che ci rende grandi.

 


MA E’ IL MUSEO a ripercorrere la storia che unisce il tartufo a questa terra, a questa famiglia. Nato da un’idea e dal lavoro di ricerca di Olga Urbani e aperto al pubblico nel marzo del 2012, diventa subito un vero e proprio “museo da vivere” nel cuore di Scheggino. Intitolato alla memoria di Paolo Urbani in seguito alla sua scomparsa, documenta l'importanza del tartufo nel territorio, dove si è arricchito di storie, miti, riti e superstizioni entrando persino, nel periodo medievale, nelle magiche pozioni dei “ciarlatani” che preparavano e vendevano con lauti guadagni elisir d’amore a base della sua essenza. Ed è anche un viaggio attraverso la storia delle ricette a base di tartufo: dalle celebri illustrazioni di Marcel Ronjat nel 1867 alle ricette familiari di “nonna Olga”, alla cucina tipica di Scheggino nei primi degli anni ‘30, al servizio fotografico con protagonista il tartufo Urbani per il giornale “La cucina Italiana” in America nel 1950, fino ad arrivare alla grande innovazione dei piatti per i palati di tutto il mondo. E ancora tra lavoro e i sui arnesi, tra credenze esoteriche e cognizioni scientifiche, tra foto di famiglia ecco anche i grandi avvenimenti accaduti nel corso degli anni attraverso documenti e testimonianze: antiche fatture scritte a mano, vecchi fascicoli e pubblicazioni, lettere, telegrammi e illustrazioni ripercorrono lo studio dei tartufi e della tartuficoltura e, tra le varie carte, appare in evidenza la lettera di ringraziamento del presidente americano Ronald Reagan per quel regalo di tartufi inviato dai fratelli Bruno e Paolo. E i tanti arnesi, oggetti che raccontano storie di lavoro, come ad esempio i primi lavatoi a mano improvvisati nella casa-azienda di Carlo Urbani e di sua moglie Olga. Insieme a onorificenze, attestati e premi assegnati alla famiglia Urbani dalle istituzioni, da associazioni, da privati e cittadini. All'ingresso, tra citazioni di Shakespeare sul tartufo scarabocchiate sui muri, migliaia di firme e dediche di chi è passato da qui, dove una insegna spicca fra tutte: "Questo museo è dedicato a chi riesce a rinnovarsi senza dimenticare il proprio passato. Luogo della memoria, più caro e più splendido d'ogni altro possesso serba in sè la speranza di volgere la nostalgia del passato in energia positiva per il futuro. Per non dimenticare".




QUESTA REALTA’ MUSEALE fa parte dell’ Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, che nasce con l’intento di valorizzare i contesti culturali e ambientali di quest’area montana attraverso la creazione di un “museo diffuso”, articolato in centri di accoglienza dedicati e in percorsi tematici che ricalcano itinerari storici. E ovviamente l’antenna di Scheggino riversa l’attenzione ai temi del tartufo, dove il Museo del Tartufo Urbani è un importante punto di riferimento culturale. E non è un caso che l’Ecomuseo della Valnerina abbia come logo il maiale, quello cintato di antica nostrana storia, animale strettamente collegato con la famosa produzione di norcineria locale e con la caccia al tartufo. Si narra infatti che un tempo era la scrofa che, condotta alla cerca e solleticata sull’orecchio, percepiva quei ferormoni tipici del verro regalati dal profumo del tartufo e scavava per appropriarsene. Ed è anche da sottolineare che la concentrazione dei ferormoni nei tartufi è due volte maggiore di quella che si trova nel sangue del maiale maschio (Claus e Hoffmann, 1971). Lo stesso è per la credenza che i tartufi abbiano attività “afrodisiache”: l’aroma in questione infatti ha la capacità di modificare il comportamento e gli equilibri ormonali in senso favorevole alla riproduzione. Inoltre oggi sappiamo che il tartufo contiene una sostanza chiamata anandamide, un endocannabinoide che dona felicità”. E vogliamo crederci.




La grande questione dei Bianchi e dei Neri che fece seguito a quella dei Guelfi e dei Ghibellini che desolò per tanto tempo l’Italia, minaccia di riaccendersi a proposito dei tartufi”. (Pellegrino Artusi)




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AUTHOR - Marilena Badolato