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GARDEN CLUB-PERUGIA: LA CASTAGNA A TUTTO TONDO.

UN INCONTRO sulla castagna e sull’albero che da sempre produce questo frutto considerato nella storia  il “pane dei poveri”. Pianta straordinaria  per grandezza, alcuni esemplari potevano raggiungere i trenta metri di altezza e il tronco addirittura i sei metri di diametro, pianta eliofila, ama il sole e la luce di cui ha molto bisogno per crescere. Pianta robusta, ama gli spazi liberi, vuole un  terreno molto ricco, non argilloso, e non ama i  ristagni  d’acqua. Castagne e marroni sono subito identificabili, diversi per colore e forma e un Decreto Regio del 1939  ne sancisce la diversità. Se in un riccio di castagne si possono trovare due o tre e fino a sette frutti, in uno di marroni ce ne sono al massimo uno o due, quindi la loro dimensione è molto  diversa. Le castagne, dovendo “entrare” in un unico riccio, sono  un po’ più piccole e schiacciate, con la buccia resistente e di colore bruno scuro. I marroni, invece, avendo avuto vita più facile, sono un po’ più grossi, la buccia striata di un marrone più chiaro, la forma bella tondeggiante. Non era strano, negli anni passati, vedere alcuni portare in tasca una castagna, poichè la credenza popolare voleva servisse ad allontanare le malattie da raffreddamento. Il castagno è stato molto importante nella storia per la produzione del  legname, del frutto, ma anche per la corteccia ricca di tannini e per foglie e fiori utili  in farmacopea. La castagna ha rappresentato un'importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e, nelle zone più fresche prealpine e d’alta collina, era utilizzata soprattutto per la produzione di farina. Castagne bollite nel latte e accompagnate da formaggio costituivano  un alimento  prezioso e completo, dal grande valore nutrizionale.  Anche i castagni soffrono di alcune gravi malattie: il mal dell’inchiostro che rende la pianta completamente nera e il cancro della corteccia, entrambi capaci di decimare interi castagneti.  Ad essi si è aggiunta la cinipide o vespa cinese che scava nella castagne profonde gallerie. Pianta considerata mellifera, le api amano molto i  fiori del castagno, e il miele che ne deriva ha una colorazione dall'ambra al bruno scuro, retrogusto amaro e resiste alla cristallizzazione per lungo tempo (Gabriella Agnusdei Giraldi agronoma paesaggista). Intanto sul lungo tavolo della sala viene predisposta dalle bravissime Maria Pia Mattioli  e Franca Di Lorenzo, entrambe maestre SIAF, una decorazione floreale dedicata al tema della serata.

 

UNO dei primi frutti commestibili della storia, la "ghianda di Zeus” , come la chiamava Teofrasto, famoso botanico greco, individuandone diverse varietà a seconda delle zone di produzione. Le castagne erano “noci piatte” per i Greci e "noci nude" per i Romani descritte così da Catone  nel trattato “De Agricoltura”, a significare forse che la perdita del riccio rendeva il frutto fragile. Plinio il Vecchio (23-79 d.C)  nella sua "Naturalis historia" si sofferma sull'utilizzo del frutto in ambito culinario e distingue alcune varietà pregiate, indicandone le qualità, se di Taranto o di Sardi , e suggerendo per questa “cupola irta di spine”, la perfetta conservazione in sabbia o vasi di terracotta riposti in cassoni ripieni di paglia. Dai fiori femminili racchiusi in una cupola che sappiamo si trasformano in riccio, l’origine del castagno invece è ancora discussa, ma la presenza della pianta risale a circa 10.000 anni fa e dimostra che quest’ albero è riuscito a resistere alle ondate di freddo glaciale che si sono susseguite nel tempo. E il suo frutto, la castagna, è stata anche venerata per la sua forma tronco-conica che si pensava ricongiungesse le alterità all’Unum. La piramide infatti rappresentava in origine la forma  della scala per giungere a Dio. Diventerà emblema di perfezione, stabilità, sostanza, immutabilità. Per gli antichi Egizi esprimeva anche quel fascio triangolare di raggi provenienti dal Sole, Ra, che poteva  persino vivificare le mummie nell’aldilà.

 

NEL MEDIOEVO UTILI A CURARE…Durante il Medioevo furono soprattutto gli ordini monastici a migliorarne la coltivazione  nelle aree pedemontane e a curare la conservazione e  trasformazione delle castagne. I “castagnatores” erano contadini specializzati nella raccolta e lavorazione di questi frutti  considerati poveri e da evitare quindi nei menù di corte. Fu probabilmente per questi motivi se nel XIII secolo si iniziò a diffondersi il termine “marrone” per indicare una qualità eccellente, più grande e preziosa, e meglio adatta a un consumo elitario. Anche perché alla castagna venivano  riconosciute proprietà afrodisiache, si narra suggerite per la  prima volta da  Isidoro di Siviglia (VI sec.) che accostò il nome castagna a “castrare”, indicando la pratica di estrazione dal riccio dei frutti gemelli e il taglio delle castagne stesse. L’albero del  castagno è stato  sempre  considerato molto prezioso. Ad esempio il governo lucchese per salvaguardare la raccolta delle castagne, istituì nel 1483 dei “provisores castanearum” e nel 1489 una magistratura, l'Offizio sopra le Selve, il cui Statuto prevedeva pene per tutti coloro che, trasgredendo le disposizioni previste, commettessero atti criminali provocando incendi, tagli e altri danni più o meno gravi ai castagni. Così anche in Statuti del Ducato di Spoleto troviamo gravi sanzioni a chi tagliava le piante del castagno e si sanciva  l’obbligo della  loro immediata sostituzione. Gli scritti medievali trattano  una distinzione tra castagna virida, cioè non matura e ancora dentro al riccio, munda se priva di riccio, sicca se essiccata e sbucciata, pista se dopo essiccazione veniva macinata per la preparazione di sfarinati. Molteplici erano i rimedi empirici attribuiti all’uso di castagne. L’acqua di lessatura di foglie e bucce di castagna era consigliata per combattere l’emicrania; a chi soffriva di dolori cardiaci si raccomandavano le castagne crude; le castagne lesse, pestate e unite al miele aiutavano i malati di fegato, mentre con l'aggiunta di pane grattugiato e liquirizia diventavano un rimedio per i disturbi di stomaco. Castagne secche macinate, unite a sale e miele, venivano utilizzate in caso di avvelenamento. Erano raccomandate per il loro effetto antipiretico e ovviamente contro la peste, che periodicamente decimava intere popolazioni, soprattutto se cotte insieme a prugne o  cipolle. Questi frutti erano impiegati anche per favorire la crescita dei capelli e combattere la calvizie e infine in caso di tosse  foglie e fiori di castagno  erano usati per la loro azione espettorante, mentre la farina di castagne  era impiegata in gravidanza e per aumentare il latte nelle puerpere. Nel Cinquecento il Mattioli segnalava: “nelle montagne ove si raccoglie poco grano, si seccano… e fassene farina la quale valentemente supplisce per farne pane”. Nel Settecento illuminista il marrone riscosse grande favore presso le classi nobiliari sotto forma di dolcetti glassati di zucchero, i marrons glaces, e farne dono a una signora  poteva alludere a maliziosi significati.

 

IL CASTAGNO DEI CENTO CAVALLI. Il castagno coi suoi frutti è presente  in  moltissime opere e diventa protagonista nella raccolta Myricae di Giovanni Pascoli (1855-1912) il quale, nella poesia “Il castagno”, descrive il ruolo primigenio della pianta nella civiltà contadina: Per te i tuguri sentono il tumulto /or del paiolo che inquieto oscilla; /per te la fiamma sotto quel singulto crepita e brilla: /tu, pio castagno, solo tu, l'assai /doni al villano che non ha che il sole; /tu solo il chicco, il buon di più, tu dai /alla sua prole. Ma forse l’esempio più citato e curioso è quello del “ Castagno dei cento cavalli”, che troviamo in numerosi scritti  in siciliano e italiano. Autorevoli studi botanici lo descrivono come l’albero più grande, per la sua grandissima circonferenza, e il più vecchio d’Europa. Il viaggiatore  Jean Houel dopo una sua visita in Sicilia  nel 1787, lo descrisse e ritrasse nel Voyage de la Sicile, de Malta e Lipari : “ la sua mole è tanto superiore a quella degli altri alberi, che mai si può esprimere la sensazione provata nel descriverlo. Mi feci inoltre, dai dotti del villaggio raccontare la storia di questo albero si chiama dei cento cavalli in causa della vasta estensione della sua ombra. Mi dissero come la regina Giovanna d’Aragona recandosi dalla Spagna a Napoli, si fermasse in Sicilia e andasse a visitare l’Etna, accompagnata da tutta la nobiltà di Catania stando a cavallo con essa, come tutto il suo seguito. Essendo sopravvenuto un temporale, essa si rifugiò sotto quest’albero, il cui vasto fogliame bastò per riparare dalla pioggia questa regina e tutti i suoi cavalieri. Questo albero sì decantato e di diametro così considerevole è interamente cavo, cioè sussiste per la sua scorza, perdendo con l’invecchiare, le parti interne e non cessando perciò di incoronarsi di verdura. La sua cavità essendo immensa, alcune persone del paese costruirono una casa nella quale vi è un forno per seccarvi castagne e mandorle.” L’Unesco ha riconosciuto il “Castagno dei cento cavalli" come Monumento Messaggero di pace.

 

IL POETA dialettale siciliano Giuseppe Borrello (1820- 1894), cita in una sua poesia la leggenda : “Un pedi di castagna tantu grossu / ca ccu li rami so' forma un paracqua / sutta di cui si riparò di l'acqua, di fùrmini, e saitti / la riggina Giuvanna ccu centu cavaleri, / quannu ppi visitari Mungibeddu vinni surprisa / di lu timpurali. / D'allura si chiamò st'àrvulu situatu 'ntra 'na valli / lu gran castagnu d'i centu cavalli.” Un piede di castagno tanto grosso /che con i rami forma un ombrello /sotto il quale si riparò dalla pioggia, da fulmini e saette /la regina Giovanna con cento cavalieri / quando per visitare Mongibello venne sorpresa dal temporale./ Da allora si chiamò quest'albero situato entro una valle / il gran castagno dei cento cavalli.

 

 

 

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                                                                            La castagna a tutto tondo

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marilena badolato

 

AUTHOR - Marilena Badolato