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GUSTO SOLIDALE: 5° TROFEO “STEFANO BIANCONI” ISTITUTO BUFALINI-CITTA’ DI CASTELLO

Centro Professionale Bufalini

Associazione Professionale Cuochi Italiani

in cucina prima della gara, il Maestro di cucina Antonio Bedini dà le ultime disposizioni

in cucina, appunti e domande agli chef

assaggi in giuria con i Maestri di cucina Antonio Arfè e Davide Cavallini, e lo Chef Marco Faiella delegato Apci Perugia

le schede di giudizio da compilare con i punteggi

un piatto degli chef

un piatto degli chef

il vitello"fondente"

un giardino di delizie di mare e terra

arte in pasticceria

arte in pasticceria

arte in pasticceria

arte in pasticceria

arte dell'intaglio

golosità

un sogno di piccola pasticceria

un sogno di piccola pasticceria

dolce creazione

sognando un cavalluccio marino di zucchero

Non è nulla di ciò che sembra in questa estrosa fascinosa coinvolgente contemporaneità culinaria.  Si va sicuramente oltre il mercato: in questa gara di bellezza e bontà non ci si può fermare davanti al prodotto, per quanto eccellente. Infatti sarà una ricerca in continuo movimento, su e giù per i continenti del gusto. Da giudicare. Sono in giuria per ricordare Stefano e i ragazzi meno fortunati, ed è in suo ricordo, per il quinto anno consecutivo, che si svolge questa gara di solidarietà al profumo di bontà. Il ricavato di questa magnifica gara del gusto andrà all’Associazione Persone Down (AIPD) gruppo “Stefano Bianconi” di Perugia e allora sarà semplicemente una carrellata di bellezza e bontà da giudicare con animo leggero, per la finalità che si vuole raggiungere.

Tra preparazioni calde, fredde, a vassoio, pasticceria, artistica e cake design mi muovo da giurata con la consapevolezza di assaggiare creatività allo stato puro, i piatti e le preparazioni degli Chef dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani, APCI, insieme al suo presidente regionale Giuseppe Romano, al vicepresidente Francesco Milano e al delegato per Perugia Marco Faiella. Centoventi partecipanti, compresi i ragazzi degli Istituti alberghieri di Malta, Foligno, Brescia Bergamo e dell’Istituto Bufalini di Città di Castello che ospita l’intera kermesse.

La cucina è arte, perizia, tecnica, intelligenza, estro, fantasia, abilità, creatività, immaginazione, magia e un pizzico di follia. Ed ora finalmente anche riconosciuta come bene culturale e artistico della nostra nazione. Sarà un “via vai”di equipes bianche di Chef , di cappelli alati verso il cielo, un mondo diverso di gente che pensa e che crea, che scommette e che sogna, che usa le mani in tecniche antiche o in macchine del futuro. E le mani seguono docili i pensieri e creano. Creano per fare arte e cultura, per parlare italiano al mondo.

Così hanno preso forma i piatti presentati al concorso. Radicati oltre il mercato, cioè nella testa del cuoco. Nel colore, nelle forme, nei sapori di passione e studio di consistenze e aromi. Suggestioni sgorgate dai ricordi e dalla conoscenza e cesellate dalla riflessione e dalla tecnica per raggiungere il fine dell’equilibrio, una conquista che presuppone molteplici equazioni: quella visiva, quella olfattiva, quella uditiva della masticazione, e la consistenza che, insieme all’articolazione complessa del gusto, formano l’identikit del piatto.

Ecco allora i “piatti caldi” da giudicare, in primis il calore del servizio che deve essere perfetto, sentenziano a priori i severi, ma amabili, Chef e Maestri di cucina Antonio Arfè e Davide Cavallini presenti con me in giuria. Presentati con la mobilità di un’immagine mentale, appaiono i piatti: tra preparazioni dai colori di italianità bianco-rosso-verde che il team partenopeo issa come bandiera delle sue svariate preparazioni, a piatti dove si nota quell’allure diverso degli chef maltesi, piatti anche interessanti nell’uso di carni alternative dove del volatile si usa tutto intero e frullato a farcire, magari insieme a tenere verdurine, fiabe di altre terre, nostalgia nel piatto. Dalla novità del “sushi di conchiglioni”, dove la pasta tradizionale è farcita di gnocco ripieno su salsa tricolore, si passa al piatto di rigore e maestria, nitore in una aiuola fiorita- così mi appare questa preparazione- che parte dalla storia della pasta creata a Napoli, stesa nei vicoli ad asciugare e in origine gustata per strada, ed immaginata arrotolata nel piccolo nido, sino ad arrivare ad un bicchierino che contiene tutto il profumo del pomodoro fresco maturato dal sole partenopeo e del basilico che fascia un microscopico bocconcino di bufala, mentre una piccola linea di verdeggiante salsa al basilico che accoglie qualche vongola aperta a significare mare ovunque, delinea un ipotetico giardino all’italiana dove sbocciano bianchi fiori eduli. Si compone così un giardino di delizie. Sempre da ammirare il rollè “arrotolato” con prosciutto di maialino, quello nero casertano, che racchiude al suo interno una morbida profumata purea di mela annurca, tutte cotture avvolte in trasparenti involucri che supportano le basse temperature o in carte dai nomi da fiaba- carta fata- che, ad esempio, accoglie ora una spigola sfilettata e farcita con gamberi rossi e broccoli. A seguire, altro chef altra corsa, un gioco sull’agnello in crosta di erbe montane ai due sesami con una mousseline di patate e sedano rapa: l’agnello all’interno è rosato, la carne delicata e profumata di sensazioni di fieno appena accennate. E’ il nostro agnello dei Monti Sibillini con accanto spugnole, i funghi che condividiamo con gli amici marchigiani, perchè i confini geografici li fanno gli uomini, non certo il gusto. Freschezza e natura sotto la pioggia verde delle erbe in questa preparazione in apparenza più semplice, ma padrona di un gusto orograficamente centrato. Persino gli agretti, semplici di nome e di fatto e di tradizione sposati ad aceto, diventano invece lievemente dolciastri conditi con miele d’acacia di una fluida trasparenza, ma, sparpagliati sul piatto come trasparente immagine perché la bocca si riconverta, appaiono chicchi di ribes rosso, quel tanto di asprigno per riequilibrare il gusto e la vista di un rosso fantastico. Da notare anche il baccalà, che altro pesce non arrivava un tempo dalle nostre parti in Umbria, monoporzionato e appena passato in padella dalla parte della pelle perché si cuocia rimanendo succulento, presentato su un letto verde, con accanto un cilindro di pacchero riempito da una nuvola di ricotta e parmigiano pepe e sale da cui sbocciano alcuni steli di asparago di bosco, a parlare di storia, stagionalità, territorio, estetica di presentazione e sapore. E ancora pesci, spigole o sogliole sfilettate e a turbantino, perfettamente accostati a scarola, o cicorielle, o a brunoise di verdure, o agli immancabili pomodori pachino o ciliegia o vesuviani: il rosso domina in questa cucina insieme ai verdi del basilico o degli asparagi e ai bianchi del pane tipico, direi storico, in genere frullato, una italianità che è molto sapori essenze e colori del nostro Sud. Ma tutti i piatti parlano del loro territorio, di linee geografiche, di clima, di venti e di sole o di mare e di monti, e di storia, tutti gli chef presentano le loro creazioni insieme alla loro terra, che produce quei prodotti del piatto. In questi piatti dove pomodoro olio delle nostre olive e verdure di stagione sono sempre presenti, quasi una scelta ovvia, dell’ uno tira l’altro insomma. Ed io sono qui per domandare e chiedere il perché di scelte, il perché di creazioni, il perché di appartenenze. Così gli ingredienti di una ricetta diventano ricettacolo di informazioni, notizie spiegazioni, creazioni e di nuove intuizioni. Il bollito non bollito, antifrasi della cucina classica, ormai trionfo delle basse temperature, e la glorificazione di pezzi poveri come la guancia o affettuosamente guanciola, passati attraverso una sublimazione tecnica, perché alcuni di questi chef portano la cucina italiana nel mondo. Dove il volteggio creativo manda in tilt la vecchia cottura nell’acqua, in nome di una salvaguardia di proprietà nutrizionali e sapore. Appare così un fondente di vitello che non è certo un classico stracotto, ma pur cotto, e ricoperto da una demi-glace arricchita di cioccolato fondente al 70%, accompagnata a un soffice di patate e qualche verdurina all’olio, una dolcezza nel piatto. Una trascendentale semplicità caratterizza lo sgombro cotto sottovuoto, che ne preserva l’autenticità e la ricchezza nutritiva degli omega 3, servito su un letto di crema di zucchine emulsionata con pecorino romano grattugiato e con accanto un cannolo di pane croccante da cui sbuca uno stranito, ma ottimo gamberone imperiale, in equilibrio funambolico tra la dolcezza dell’olio evo e l’agretto delle zestine di limone che lo accompagnano.

Celato sotto la morbidezza della panna, delle creme e delle friabili meringhe o degli zuccheri glassati o caramellati di splendide decorazioni e sublimi creazione d’arte, o delle mousse al cioccolato e delle piccole frolle riempite di cremosi e della girandola di cioccolatini, anche la pasticceria nasconde il pugno di ferro della ricerca avanguardista. Basta guardare.

Il tutto in un gusto italiano da enciclopedia culinaria: tra tecnica e volo pindarico in preparazioni che hanno arricchito e arricchiranno la nostra tavola. E la nostra cultura.

Ad aggiudicarsi il Trofeo al primo posto Alfonso Crisci, della delegazione di Nola; al secondo posto Rayan Vella, e al terzo posto Lee Formosa, entrambi della delegazione di Malta.

Marilena Badolato maribell@live.it     8-9 aprile 2013    foto di Gloria Panfili

AUTHOR - Marilena Badolato