IL 2 NOVEMBRE AL FRANTOIO BATTA CON LE FAVE E L’OLIO NUOVO.
CON LA MANINA si colgono le olive. La cultivar del giorno è il Leccino. Antico rito di brucatura con un rastrello-pettine. Emozionante. Piccoli agevolatori manuali, pettini o rastrelli dal lungo manico, rendono più leggero il lavoro e le olive così raccolte hanno una bassissima quantità di foglie, che poi verrà ulteriormente eliminata. E la pianta alleggerita dal suo carico, riprenderà il ciclo vitale: sarà riposo d’inverno e nuova vita poi, e nuovi frutti che daranno l’olio nuovo. Così l’aratura, la potatura, la raccolta, si caricano di comprensibili significati rituali e propiziatori legati alla fecondità della terra.
SU UN’ANFORA DI VULCI del 520 a.C., è rappresentata una raccolta di olive. Si notano chiaramente tre ulivi: in quello centrale due lavoranti colpiscono rami e fusto con lunghe verghe, sulla sua chioma un terzo giovane bacchia le olive con un bastone e a terra, in ginocchio, altri giovani raccolgono il prodotto in cesti.
UN TEMPO la raccolta coinvolgeva tutta la famiglia. Erano impegnati i nonni, i cugini, gli zii, i bambini e ognuno aveva un ruolo. Era anche un modo per ritrovarsi tutti insieme. Tra i giovani prevalevano le sfide a chi riempiva la cassetta prima degli altri: sotto l’albero venivano posti dei teli, poi con dei bastoni o con appositi rastrelli si battevano i rami per far cadere le olive, mentre quelle che restavano attaccate alla pianta erano raccolte a mano, in piedi o salendo su scale.
E OGGI, cosparso sul consueto piatto di fave del 2 novembre, il giorno che ricordiamo più intensamente i nostri morti, l’olio suggella il rito antico. A tavola con gli amici, da Gianni e Giuliana Batta, a rivivere una antichissima consuetudine. La bruschetta apre doverosamente l’assaggio dell’olio nuovo, la curiosità di sentire ancora una volta un armonioso equilibrio tra piccante e amaro, quel gusto tra carciofo fresco, lattuga e cicoria e un qualcosa di profumato balsamico. Seguono le fave secche, quelle sbucciate e cotte in purea e quelle intere di Castiglione del Lago, dalla buccia sottilissima, saporite e gustose. E accanto quella fetta di pane di lievito madre dove l’olio, scivolando tra l’ampia alveolatura, irrora le fave sottostanti.
CHE QUESTO PIATTO fosse dedicato ai defunti, lo attestano molte fonti. La puls fabata, fave ridotte a purea da una cottura prolungata, era in origine un piatto etrusco. Una preparazione antichissima e rituale che le ha permesso, oltre al fatto di avere un sapore unico e gustoso, di giungere sino a noi. La favata con il suo consumo solenne, potrebbe essere accostata al banchetto funebre del refrigerium, speciale rito dalle origini molto antiche di quando si costruiva, accanto alle tombe, una cella per i banchetti funebri da celebrare negli anniversari dei defunti. Si onorava la memoria del defunto e si cercava di ottenere una intercessione presso gli dei grazie proprio all’offerta di prodotti ritenuti sacri. Tra questi le fave, il grano o il vino. Fave come offerta votiva, quindi.
E ANCORA SULLA TAVOLA e nel mio piatto abbondanti verdure in pinzimonio, finocchi dolcissimi, e cavolo dell’orto di casa dove l’olio novello canta che è una meraviglia. Sazia, evito le carni che pur vedo golosamente consumate dagli altri commensali: la tradizione prevede infatti la cottura sulle braci di frattaglie, come antichi vaticini. E così in tavola saranno “fegatelli” di maiale, “trecciole” di agnello e “pajata” di vitello accompagnati da un calice di verace rosso di Gianni. A concludere le fave dolci, ricetta che non può mancare, nella forma e nel colore delle leguminose. E Giuliana ha preparato anche il croccante con le sue nocciole, le “nocchie” delle nostre parti. L’amica Teresa ci delizierà con il suo Montebianco, perfetto equilibrato, purea di castagne d’autunno, panna e marron glacé. E dell’artista Giuseppe Fioroni, da sempre presente a questa tavola con lo splendido organetto, saranno quei “canti dell’olio” che si intonavano durante la raccolta, e le storie delle “olivare” le donne con gli zoccoli di legno di pioppo, e i saltarelli e gli stornelli, ritmi ripetuti e sempre uguali, e ancora una polka orvietana e tutto quanto ci ricorda che il gusto è anche l’ appropriarsi di un ricordo, di un momento e il viverlo in allegra brigata.
E oggi come suggello di una incrollabile comunione tra i vivi e coloro che non sono più.
marilena badolato