IL “BELLUM PERUSINUM” NEL BIMILLENARIO DELLA MORTE DI AUGUSTO.
“Può darsi che questo ragazzo sia il nostro salvatore, bisogna vedere se vogliamo essere salvati da lui” esordisce così Alessandro Viscogliosi citando la frase di Cicerone su Ottaviano Augusto e introducendo in modo affascinate un capitolo di storia che ci tocca da vicino. Nel bimillenario della morte di Augusto, qui nell’Aula Magna dell’Università per Stranieri, si ripercorrono le tappe di una storia che si incrocia nella nostra città: il Bellum Perusinum 41-40 a.C, una parentesi della lunga vita di Ottaviano, quel Pontifex maximus che manovrò abilmente la sua influenza in tutto l’Impero tramite il genius Augusti, l’appellativo conferitogli nel 27 a.C. dal senato. ” Octavius oppidatim inter Deos tutelares consacratus est”. La guerra tra Ottaviano e Lucio Antonio affiancato dalla cognata Fulvia, che ebbe come palcoscenico la nostra città, costò ai perugini ben 300 vite di nobili cittadini senatori e un rimescolamento urbanistico dopo l’incendio: l’ Augusta Perusia in età imperiale si espande oltre la cinta etrusca, pur conservandola sempre intatta, con l’Anfiteatro e il Tempio di Marte, e con le Terme rappresentate dal mosaico ancora visibile del mito di Orfeo (II secolo d.C.). E l’Arco etrusco diverrà Arco di Augusto con incisa la scritta Augusta Perusia, non certo per i perugini che ancor oggi lo nominano con il suo vero e antico nome, e Colonia Vibia sarà la scritta che apparirà più tardi incisa accanto, quando l’imperatore Vibio Treboniano Gallo, perugino d’origine, darà alla città lo ius coloniae. Una tappa della storia ancora “indimenticata” dai perugini, attestata da quei nomi che ricorrono spesso tra i nostri concittadini: quelli dei nemici di Roma come Annibale, Alarico, Brenno, e persino Spartaco, lo schiavo ribelle, come fa notare nel suo intervento Roberto Segatori. Altra tappa incancellabile è la cosiddetta “guerra del sale”, la ribellione dei perugini all’iniquo ennesimo balzello imposto dal governo pontificio, rivolta sedata con la costruzione della Rocca Paolina. Più rispettoso il progetto iniziale del Sangallo, avvilentemente prepotente quello di Paolo III che per costruire la sua roccaforte distrusse case e chiese e fece decapitare persino un campanile che ostruiva la gittata dei cannoni. “ E – continua Michele Bilancia- nella Porta Marzia, del III sec. a.C., incastonata, utilizzandone solamente la facciata, da Sangallo il Giovane nel bastione della Rocca Paolina per decorare un ingresso della stessa, si ritrovano le incisioni medesime dell’Arco Etrusco – Augusta Perusia e Colonia Vibia-, affermazione di una ideologia che voleva le due figure di Pontifex maximum -Ottaviano Augusto e Paolo III -sovrapposte a suggello di una autorità imposta sulla città”. Ma le Mura etrusche resistono visivamente e parlano di una grande civiltà che aveva reso una città bella, potente e rispettata, la storia di una aristocrazia che faceva di Perugia una delle città più importanti della Dodecapoli etrusca. Riscopriamo oggi i segni inequivocabili anche su rifacimenti più tardi, come questi rinvenuti con il restauro dell’Arco Etrusco, la porta “pulchra”, la più bella delle sette originarie. Alcune porte riportano ancora segni vistosi della civiltà etrusca. L’Arco della mandorla, oggi ad apertura ogivale medievale, ma con lo stipite e il fianco destro in conci etruschi; la Porta Trasimena, in fondo a Via dei Priori, che delle origini etrusche conserva i piedritti, o ancora l’Arco dei Gigli con al suo esterno traccia dell’originario arco a doppia ghiera; l’Arco di S. Ercolano, del quale rimangono i piedritti e un concio ricurvo a memoria dell’arco a tutto sesto etrusco. Un bel progetto oggi questo del Parco delle Mura, voluto fortissimamente dall’architetto Michele Bilancia che da anni si dedica a questa idea identitaria di Perugia come “Capitale delle città murate”, perché in fondo ha saputo conservare, malgrado gli sgambetti della storia, la sua identità proprio attraverso queste mura. Che hanno protetto, come dorsale di sostegno, l’intero “corpus perusinum.”