IL GUSTO PERDUTO: LA GASTRONOMIA STORICA DI ARNALDO CARUSO.
POICHE’ “è di moda” affermare che la cucina italiana storica non è mai esistita, che la dieta mediterranea è tutto un bluff (negando una identità che invece sarebbe necessario salvaguardare proprio per “salvare” conoscenza e materie prime da una globalizzazione selvaggia), scriverò una recensione sul libro “Il gusto perduto” che, rifacendosi all’ archeogastronomia riporta “storia e ricette dei popoli antichi”, ovviamente elaborate oggi, ma nel rispetto di una storiografia basata su importanti documenti e notazioni su alcune civiltà. Sperando che almeno l’esistenza di queste popolazioni non venga negata.
L’AUTORE, ARNALDO CARUSO, spiega che il ritrovamento di alcune tavolette babilonesi ha “aperto” una piccola finestra sulla archeogastronomia: non tanto per il materiale culinario che ci hanno lasciato Assiri, Ittiti, Egizi, Fenici e altre civiltà del Medio Oriente, quanto per la “mediazione” che invece ne hanno fatto Greci e Romani che hanno ampiamente riferito su usanze culinarie e gusti diffusi.
UNA delle Tavolette (risalenti al 1800 a.C) riporta 25 ricette di cui 21 a base di carne e 4 di verdure ovviamente compilate da scribi professionisti che volevano conservarle come “tipiche”, cotture che prevedevano già un pentolame in argilla o metallo per pietanze da bollire, ovviamente coesistendo anche cibi cotti con la fiamma e marcando tra loro queste cotture forse una differenziazione sociale. Certamente pietanze che segnavano un tratto distintivo di un regnante o della sua corte e in occasione di banchetti importanti. Ricette che accomuneranno questi popoli narrati spiegano comunque l’uso delle leguminose e delle cerealicole che non mancano mai e la perizia del pane con la scoperta casuale della lievitazione, le carni utilizzate e la loro cottura in stufati, in bolliti, in fritture ovviamente tutti speziati e con salse di accompagnamento.
STUFATO di agnello e piccione alla babilonese, con cumino e coriandolo, ma anche insalata di farro spezzato, o preparazioni culinarie che accompagnavano il defunto nell’aldilà, come il “pane di Ra” o le “spirali di Ramses” un dolce a base di latte di capra e miele che doveva piacere così tanto al faraone che ordinò che la ricetta fosse incisa sulla sua tomba. E ancora Erodoto che racconta la passione dei Persiani per il vino e per le preparazioni dolci e invece i Fenici, maestri nell’arte della pesca, della conservazione sotto sale e del commercio del pesce, con la loro “pietanza”citata persino da Catone nel “De re rustica”: una dolce e saporita puls che “assomiglia” se guardiamo bene alla nostra pastiera.
NESSUNO è oggi più in grado di trasmetterci l’esatto gusto dei cibi di quei tempi, possiamo però grazie alla gastronomia storica, a documenti, a testi che riportano ricettari dell’antichità arrivare a un passo dall’autenticità e stupirci ancora una volta di come già gli antichi avessero scoperto i luoghi migliori per “assaggiare” un certo piatto e i cuochi più bravi a prepararlo. Si pensi ai Deipnosofisti, “ I sapienti a banchetto”, opera di Ateneo di Naucrati, una sorta di guida turistica ante litteram.
COSI’ CARUSO ci regala capitoli di una leggerezza di lettura e di una profondità di studio: dalla “conoscenza del fuoco” alla “cucina di natura e di cultura”, alla “scoperta della ceramica e della pentola” che hanno contribuito sicuramente al progresso della intelligenza della specie: i prodotti ceramici e il vino, con l’anfora per conservarlo e maturarlo, il cratere per poterlo mescolare con l’acqua, il kylix, la coppa per consumarlo durante il simposio, e ancora il “cibo nella quotidianità”, “l’ arte del cucinare” e il “cibo come medicina”.
“IL GUSTO PERDUTO” di Arnaldo Caruso (Academ Editore, 2021), con la prefazione di Bruno Gambacorta, giornalista e famoso autore televisivo, inventore della rubrica Tg2 Eat Parade, che parla di “un lavoro di grande interesse a tratti addirittura affascinante, un itinerario intellettuale sorretto da solide argomentazioni e da una vera passione. Il tutto tenuto insieme da un gusto raffinato e da una conoscenza di ingredienti e tecniche di cottura tipiche dell’uomo di scienza”. Infatti l’autore è un medico microbiologo, con molti riconoscimenti e attestati per la sua attività in campo virologico.
E direi un libro che appassiona per questo afflato storico, ma di scrittura limpida e leggera. E con ricette semplici da riprodurre, magari, in una cena “storica” tra amici.
marilena badolato