IN VENTIMINUTI:”INCONTRO RAVVICINATO”CON I MATERIALI DEL MUSEO, IL MITO DELLA SIRENA. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELL’UMBRIA.
C’è Sirena e Sirena. Nei secoli, nella storia del mito degli uomini le Sirene, creature immaginifiche, hanno sempre rappresentato qualcosa di irraggiungibile, di fantastico, di proibito. Ma non hanno avuto sempre la stessa figura. Lo scopriamo oggi qui a Perugia, al Museo Archeologico nazionale dell’Umbria in questo interessantissimo In Ventiminuti, il canto che uccide. Rappresentazione e mito della Sirena, un incontro ravvicinato con i materiali del Museo, che ci immette in un mondo mitico di antica fiaba.
Partendo da un oggetto del Museo, un vaso bronzeo, una situla con coperchio del VI secolo a. C di manifattura campana e ritrovato nella necropoli perugina di Santa Caterina vecchia, si risale alla storia di queste mostruose incantatrici. Almeno all’inizio erano mostri. E un mostriciattolo, piccola pregevole miniatura dalla testa di donna e dal corpo di volatile, appare sul coperchio del vaso come ornamento inserito più tardi. Forse con funzione apotropaica oltre che decorativa. Il vaso è davanti a noi, di grande emozione, rilucente di nero sotto la luce del faro che lo illumina e così vicino ai nostri occhi da poter essere osservato nei minimi dettagli. Le stesse figurette di mostriciattoli alati con un bel volto di donna appaiono in un piatto orientaleggiante, sempre del VI secolo, e in una curiosa statuetta di terracotta del 520 a.C , decorativa. E’ la volta poi di un piccolo porta profumo corinzio del 500 a. C dove sono raffigurati questi esseri mostruosi e per sfondo una nave che si allontana da uno scoglio. L’episodio è un chiaro riferimento all’Odissea, canto XII 39-46 dove, lasciata Circe, il prossimo ostacolo da superare per Ulisse saranno le Sirene ammaliatrici. Messo in guardia dalla stessa Circe “ chi ignaro si accosti e ascolti la voce delle sirene, non più la moglie e i dolci figli, potranno godere del suo ritorno”, Ulisse tapperà le orecchie dei compagni, mentre lui stesso si farà legare all’albero della nave e ascolterà questo canto: Vieni qui, avvicinati Odisseo glorioso, grande vanto degli Achei…, nei versi di Omero le Sirene chiamano per nome Ulisse a conferma della loro doppia natura umana e divina e l’ arte divinatoria del presente, passato e futuro. Le Sirene erano figlie di Acheloo, un fiume che mutava sempre forma, acquisendone anche di mostruose, da cui la loro forma bestiaria. In un altro vaso, uno stamnos attico, è ben visibile una Sirena che si getta a precipizio nel mare: secondo il mito dopo il passaggio indenne di Ulisse e quello di Orfeo che si salvò grazie allla potenza melodica del suo canto superiore a quella delle Sirene stesse, queste, sconfitte, si uccisero. In un cratere attico a figure rosse sono rappresentate due Sirene a lato di una nave, all’albero della quale è legato Ulisse, ma appaiono in forma diversa, non più volto di donna e corpo d’uccello, ma metà donna e metà uccello, a significare l’inizio di un processo graduale di umanizzazione della figura. In un interessante gruppo scultoreo in terracotta e quasi a grandezza naturale, Orfeo e le Sirene, conservato nel Museo di Malibù e risalente al IV secolo, queste ultime sono raffigurate come bellissime fanciulle, con forma animale conservata solo nella parte inferiore e finale del corpo, giovani donne che cominciano a sedurre con la loro particolare bellezza.
In un affresco di Pompei, molto più tardo, 50-75 d.C e sempre riferito all’episodio dell’Odissea, le Sirene sono rappresentate ancora alate, ma con coda di pesce, così come saranno rappresentate in epoca medievale, che userà il bestiario conferendogli significati simbolici e allegorie, come attestano le decorazioni scultoree del duomo di Modena dove appaiono rappresentate bicaudate: corpo di donna e due code di pesce divaricate. Probabilmente il tramite del cambiamento è stato Scilla, un mostro marino con il volto e il busto di donna e appendice pisciforme, che troviamo anche in un’urna dell’Ipogeo della gens etrusca dei Rafi al Cimitero monumentale di Perugia e frequentemente in altre urne etrusche di età ellenistica della necropoli perugina. Mentre rimarrà sempre stabilizzato il “canto ammaliatore”, un venefico elisir.
La statua della Sirena di Copenhagen ci riporta alla fortunata fiaba di Andersen, La Sirenetta, del 1836, testo fondamentale per la mescolanza tra vari miti, elementi della classicità con l’acquaticità e i culti di altre saghe nordiche. Nelle illustrazioni della fiaba, la Sirena è una bellissima fanciulla con il corpo di pesce che, per amore di un principe, rinuncia alla sua immortalità, in cambio di un corpo di donna. Ma al rifiuto del principe la Sirenetta , ormai mortale, si dissolverà e morirà nell’ acqua del mare, per amorevole pietà divenuto letto di schiuma.
Storia per un mito antico e moderno di un amore non ricambiato.
Oggi la Sirena rappresenta un sogno di bellezza femminile, ma sempre ammaliatore e in fondo quindi pericolosamente sconosciuto.
Forse la “voce” della Sirena rappresenta la nostra coscienza, forse il senso di colpa, forse quello che non vorremmo mai sentire e cerchiamo di annullare, forse il dubbio di una scelta.
Una Sirena moderna, di oggi, con i nostri mille dubbi.
Grazie alla curatrice Silvia Merletti
Prossimo appuntamento:
Venerdì 5 aprile ore 17 In ventiminuti: Elena allo specchio. Rflessi di un mito: adultera o sposa ideale? Attraverso uno specchio etrusco in bronzo, si ripercorre il mito di Elena, la più bella del reame.
Interventi e riflessioni di Laura Castrianni.
marilena badolato maribell@live.it