LA “BETSABEA AL BAGNO” DEL SASSOFERRATO IN MOSTRA NEL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN PIETRO- PERUGIA
E BETSABEA AL BAGNO irrompe nella “ bellezza devozionale” del Sassoferrato. Unico nudo in mezzo alla grazia ieratica della ritrattistica di Santi e Madonne. Che il tema di Betsabea al bagno avesse interessato l’artista è indubbio. Egli infatti amava circondarsi delle copie delle opere che più gli piacevano. Quindi al di là del soggetto biblico, la cui storia era sicuramente conosciuta a quei tempi, l’interesse dell’artista doveva essere legato anche alla interpretazione sua personale di quel famoso bagno e al messaggio che voleva comunicare. Il soggetto infatti fu ampiamente rappresentato dagli artisti del Rinascimento che raramente raffigurarono la protagonista completamente nuda, presentandola più spesso discinta mentre si bagna assistita da una ancella che invece l’Antico Testamento non menziona. Nella versione del Sassoferrato, ispirata ad una xilografia tedesca di Hans Burgkmair il Vecchio, la scena rappresenta un ambiente esterno con un bellissimo sfondo architettonico nordico, la cui “severità” contrasta e mette ancor più in inevidenza la mollezza bianca e aggraziata delle forme di Betsabea, quasi a voler sottolineare gli aspetti profani e sensuali della scena. Non vi è dubbio che quindi il re David, che alla finestra la guarda furtivamente, sia rimasto incantato da quel candore delle carni, reso di un bianco fantastico dal Sassoferrato. “La bellezza dell’ incarnato cosi bianco e carico di luce, un bianco che non è mai solo bianco. Betsabea appare come trasfigurazione di mistero e luminosità. Una materia pura, un miracolo della pittura del Seicento” spiega Cristina Galassi curatrice della mostra insieme a Vittorio Sgarbi.
UNA SCENA DI NUDO di una grazia intima e sensuale, di un fascino sottile e intrigante, regalato anche dai morbidi drappeggi, dai gioielli ben delineati nella forma e nei colori con quel rosso geranio così tipico nella tavolozza dell’artista, dalla fiasca retta dalla fantesca volutamente istoriata e colorata dal famoso blu lapislazzulo, da quella natura morta che evidenzia un corredo da toletta, elemento importante in questa epoca, siamo nel '600, in cui torna in auge il valore del bagno. Opera interessante quindi per i costumi e l’ambiente in cui si svolge la scena. All’epoca del Burgkmair, e il suo lavoro porta il monogramma 1519, stampe e incisioni avevano diffusione capillare, trasportate per tutta Europa dagli autori stessi o da altri viaggiatori che non di rado le utilizzavano per pagarsi vitto e alloggio o le scambiavano con quelle di altri artisti. Sassoferrato è giovane quando compone quest’opera. Gli interessa quindi mettere in evidenza i trend del momento, un po’ come fanno i nostri ragazzi di oggi. E di comunicarli, tendenza molto in voga nel periodo. Il Seicento infatti inventa un modo di trasmettere messaggi e immagini, tutta la “modernità” della pittura, grazie anche alla tecnica del chiaroscuro che sembra quasi una istantanea fotografica, trasmettendo nello stesso tempo la seduzione del dipinto, la maestria della composizione, insieme ai significati sottintesi. La scena qui si svolge tutta in primo piano e anche se dietro i personaggi si innalza una costruzione monumentale, l'effetto che ne deriva è quello di un'atmosfera intima e raccolta, interrotta soltanto dallo sguardo furtivo di re David. Così la natura morta che appare, gli oggetti, esulano dal loro semplice significato accessorio, diventando protagonisti di un messaggio e la storia biblica sembra passare in secondo piano. Una sorta di trasposizione all’aperto di stanza da bagno ricca di dettagli preziosi: l’ambientazione è protagonista, lo spazio-bagno raffinato e adatto alla tolettatura (dal francese “toilet” o toilette, per indicare più in generale la cura del corpo e dei vestiti). Nel passato, gli spazi della particolare intimità legata al “bagnarsi” erano riservati alle classi egemoni, testimonianze di potere e distinzione sociale piuttosto che luoghi della vita privata: ciò per ragioni di costume, ma anche per motivi di ordine pratico. Era, infatti, quasi impossibile evitare di ricorrere all'aiuto di numerosi domestici per lo svolgimento di tutte le fasi connesse al rituale dell'immersione: sia quelle preliminari, che richiedevano una certa perizia nel travaso dell' acqua alla temperatura opportuna, che quella conclusiva consistente nello svuotamento a mano, senz'altro la più lunga e laboriosa.
BETSABEA quindi, nell’atto del bagnarsi, probabilmente sta utilizzando detergenti, saponi e unguenti così in voga nel periodo e che appaiono ben delineati nel dipinto. Il lavarsi con la sola acqua aveva il significato di atto purificatorio nell’antico rituale cristiano- basti pensare al lavaggio delle mani, ma anche al bagno di purificazione dai peccati nel rito del battesimo- e infatti dopo il Concilio di Trento (1545-1563) questa scena fu considerata come un'allegoria della purezza e il Sassoferrato fu pittore inserito nell’epoca di quella Controriforma che ebbe una chiarissima percezione del potere delle immagini, identificate come strumento rivolto all’educazione dello spirito. Ma credo che oltre all’intento moralistico che il messaggio del bagnarsi sottintendeva, l’artista, così attento a descrivere il particolare, abbia voluto mostrarci come il bagno era interpretato ai suoi tempi. Le tendenze, gli accessori preziosi della toletta, le scoperte legate ai detergenti che dal 1500 cominciano a diffondersi in modo massivo nelle spezierie, non senza una certa significazione ben chiara ai suoi contemporanei. Il bagno era abluzione necessaria, non così frequente, per coprire gli odori corporei che sgradevolmente, malgrado i profumati unguenti utilizzati, tornavano a farsi sentire e ad ammorbare vesti e rapporti sociali.
L’ACQUA, infatti, faceva “ imputridire i corpi” e gli studiosi del tempo pensavano che i bagni o i lavaggi prolungati, aprendo i pori della pelle, la indebolissero predisponendo l’individuo a malattie ed infezioni. L’acqua, scriveva Leonardo, «penetra tutti li porosi corpi». I bagni rendevano fiacchi e deboli e per questo, dopo averne fatto uno, ci si copriva con abiti puliti e si cercava di rimanere fermi in casa e persino a letto. Anche il bere acqua era considerato pericoloso, infatti le fonti spesso inquinate aumentavano il rischio di infezioni, spingendo coloro che la bevevano ad aggiungervi vino o aceto, ad “aggraziarla” con il miele o con qualche sostanza aromatica. La Scuola Salernitana aveva ampiamente diffuso la raccomandazione di farne un uso morigerato, chè: “è molto dannoso a chi mangia bere acqua, poiché lo stomaco si raffredda, e il cibo riesce indigesto”. Ancora nel 1300 era opinione diffusa che il bere solo acqua riducesse le capacità amatorie. Tutti concordavano, in ogni caso, che l’acqua favoriva la propagazione delle infezioni e per questo motivo solo le parti più esposte, mani, piedi e viso, venivano lavati più di frequente, mentre i vestiti avevano il compito di proteggere il corpo pulito, assorbendo lo sporco. Col tempo si arrivò ad avere solo due bagni "ufficiali", quello prima del matrimonio e quello dopo la morte. Del resto l’acqua era mal vista non solo dalla scienza, ma anche dalla Chiesa che la considerava un mezzo per cadere in tentazione. Tant’è che si narra che santa Caterina da Siena non passava là dove c’era acqua per paura di peccare, che Sant’Agnese morì senza mai essersi lavata completamente in un bagno, che San Gerolamo consigliava, soprattutto alle fanciulle, di non fare il bagno per non esporre il corpo nudo e San Benedetto ripeteva che coloro che stavano bene in salute non dovevano avere bagni. E solo con l’acqua santa si pensò di oltrepassare l’ostacolo: l'atto dell'aspersione con l'acqua benedetta era infatti un rito augurale di protezione di persone e di cose. Dal 1500 le cose cominciarono a cambiare e l’acqua da liquido o bevanda sospetta iniziò ad acquistare dignità di rimedio salutare. L’Ariosto descrive che la cura delle malattie febbrili consisteva nel tenere il paziente a dieta di sola acqua.
IL BAGNO NEI PERIODI ESTIVI si teneva in vasche poste all’esterno, o presso fontane private in giardino. In inverno infatti solo i ricchi potevano permettersi legna a sufficienza per riscaldare l’acqua e così il resto della popolazione ricorreva al bagno solo nei periodi caldi. Nel Seicento si raggiunsero eccessi incredibili: non solo l’acqua veniva usata per curare le più svariate malattie, ma si arrivò persino a dissertare sul come doveva essere bevuta, calda o fredda. Gli studiosi giunsero persino a capovolgere le convinzioni delle epoche precedenti che consideravano l’acqua sostanza letale per le capacità amatorie, portando come giustificazione il fatto che Venere, dea dell’amore, era nata dall’acqua e che i popoli che vivevano vicino al mare, ai laghi, ai fiumi erano più fertili degli altri. Così il bagno entrò anche nelle prescrizioni degli incontri amorosi tra amanti. E brocche e catini ornamentali, spesso realizzati in materiali pregiati, costituivano non di rado il corredo più prezioso di un legato testamentario. E cominciarono ad essere utilizzati, con frequenza, detergenti e unguenti profumati. I saponi.
IL SAPONE, ottenuto mescolando grasso animale oppure oli vegetali di lino e sesamo con argilla o con un sale chiamato " natron”, lo troviamo citato già nel papiro di Ebers del 1500 a .C. Il natron (carbonato di sodio decaidrato) deriva il suo nome dalla parola egizia del sale "ntry", che significa puro, divino, ed era utilizzato nell'imbalsamazione dei corpi per le sue proprietà di assorbimento dell'acqua, e aveva quindi una notevole importanza nell'ambito dei rituali religiosi. Il sapone, portato in Occidente nel X secolo, annoverava anche una antichissima ricetta attribuita a David di Antiochia. Il sapone di Antiochia che esiste da millenni, in origine era olio d’oliva ed estratto di lauro nobile e quindi appariva ancora allo stato semiliquido, ed aveva proprietà disinfettanti e antinfiammatorie. Saponi più consistenti si avranno attorno al XII secolo contenenti olio di oliva, soda e piccole quantità di cedro o erbe aromatiche oppure lisciva e terra di argilla bianca o smeltica utilizzata dalle donne anche per lavare e sbiancare i panni. Anticamente infatti si sfruttavano le proprietà medicamentose delle piante presenti in grande quantità nelle gommoresine e nelle oleoresine come mirra, incenso, pino e ulivo. La lavanda, molto profumata e si credeva disinfettante, deriva il suo nome proprio da lavare perché era utilizzata nei bagni e nella composizione dei saponi. Solo tra il XVI e il XVII secolo la pulizia e l’abitudine al bagno ritornarono in auge in Europa ed il commercio del sapone divenne redditizio. Con il Rinascimento la nuova concezione antropocentrica del mondo diede impulso alla ricerca di soluzioni finalmente funzionali, ma, in sostanza, ancora nel secolo dei lumi l'opinione corrente continuava ad associare il costume del bagno tiepido a stravaganti mollezze. Gli ultimi timori e resistenze nei confronti di un'acqua calda su cui immergersi, incominciarono a svanire soltanto all'inizio dell'Ottocento, con l'introduzione di alcuni precetti per fare fronte alle ricorrenti epidemie: l'ipotesi di una trasmissione del male attraverso scarsa igiene e miasmi ambientali indusse i medici a prescrivere un lavaggio integrale del corpo.
COSI’ “rimedi” naturali venivano utilizzati per preparare il corpo a quel necessario lavaggio. Si ricorreva allora a saponi e profumati unguenti, a pozioni che contenessero detergenti da sciogliere nell’acqua, a cosmetici che potessero poi ripristinare o riequilibrare quella mole d’acqua assunta. E che potessero oltre che detergere, anche disinfettare e magari funzionare come “schiarenti” della pelle. Era infatti vezzo femminile e pensiero comune il ritenere più preziose le carni bianche, lontane da quei colori ambrati o decisamente bronzei delle carnagioni di ancelle e servitori. E fantesche, come in questo caso. Il bianco insomma era sinonimo di classe sociale elevata che si voleva rimarcare. Non vi è dubbio quindi, per ritornare alla nostra opera, che il re David, che alla finestra guarda furtivamente Betsabea, sia rimasto incantato anche da quel candore fantastico delle carni.
E IL MIRACOLO DEL CANDORE carneo, ipotizzo, fosse dovuto a un sapone di benzoino, una resina profumata balsamica di largo utilizzo in cosmesi proprio a partire dal 1500 con proprietà disinfettanti, antibatteriche, aromatiche e schiarenti della pelle. Questa densa resina di stirace, tratta dalla corteccia dell’ arbusto Styrax, dalle sfumature ambrate e odore finissimo di vaniglia e che induriva all’aria diventando di colore giallo-bruno, si raccoglieva sotto forma di gocce chiamate “ lacrime”. Menzionato già negli scritti di Teofrasto (III- IV secolo a. C ) e in Dioscoride ( I sec d. C), il benzoino fu introdotto in Europa come spezia costosa attorno alla metà del 1400 e il suo uso si diffuse ben presto nelle spezierie col nome di Asa dulcis. Lo troviamo citato in oltre sessanta ricette in saponi, tinture e balsami per capelli, profumi solidi, ciprie, acque di profumo nel più famoso libro di cosmesi, contenente oltre trecento consigli di bellezza, pubblicato nel 1550 a Venezia e intitolato “ Notandissimi Secreti De L’Arte Profumatoria”. Tanto che questa resina profumata si ritrova nella celebre “Eau d’ange” molto ricercata nel Rinascimento. Dal ‘500 in poi si può dire che quasi tutti i cosmetici europei contenevano benzoino proprio perchè disinfettante, antibatterico e dal profumo dolce speziato. Oggi del benzoino conosciamo le incredibile proprietà tonificanti e antiossidanti naturali, e il potere fissativo tanto che riesce a fermare il processo di deterioramento delle creme cosmetiche e nei profumi la diffusione troppo rapida degli aromi nell'aria.
E FORSE che allora il giovane Sassoferrato, così attento al particolare, abbia voluto comunicarci i prodotti utilizzati per fare il bagno. Che abbia voluto mostraci quello che al momento era più usato per motivi medicali, ma anche estetici e di costume. Che quella natura morta di piccoli panetti ambrati, appoggiati su quel piatto posto così vicino alla bagnante e dei quali uno appare vistosamente consumato (forse sbriciolato e diluito con l'acqua calda della brocca accanto, così diversa da quella che regge la fantesca), fossero saponi contenenti questa famosa ambra profumata che aveva anche la proprietà di schiarire la pelle. E' ovviamente solo una mia ipotesi. E che la brocca invece che regge la fantesca, preziosamente istoriata a differenza di quella che troviamo nell’incisione cinquecentesca del Burgkmair, contenesse probabilmente un lenimento da sciogliere nel bagno o magari da frizionare sulla pelle bagnata. Quei panetti allora potrebbero essere “saponi” da utilizzare prima dell’immersione, un moderno scrub per intenderci, capace di preparare la pelle, così poco avvezza a lavaggi frequenti, alla detersione. E il vasetto posto accanto forse un piccolo contenitore per un prezioso unguento oleoso, un dopobagno per rispristinare quello che noi oggi chiamiamo “manto idrolipidico”. Con il re David che sembra osservare, non visto, tutti i "passaggi obbligati" del bagno, preludio all'incontro amoroso. Insomma il Sassoferrato sembra avere rappresentato nei particolari preziosi e delineanti scrub, bagnoschiuma e crema dopobagno: un completo corredo da toletta di quattrocento anni fa. Che non è poi così diverso da quello di oggi.
COSI’ la “Betsabea al bagno” appare tela composita: come se al suo interno qualcosa d’antico si incontrasse invece con i messaggi di un lavoro “moderno” del Seicento. La bellezza dell’ incarnato cosi bianco e carico di luce che diventa trasfigurazione di mistero, ma anche sensuale presenza. E che il Sassoferrato abbia voluto segnalarci che il re David, furtivo alla finestra, rapito da quell’immagine di carnale bellezza abbia immediatamente pensato a quell’incontro amoroso che era tradizione tenere dopo una profumata abluzione. Una ventata di perfezione formale, di levigatezza del colore che ci riportano ad almeno un secolo prima, uniti a ideologie e tematiche sicuramente già barocche, finalizzate a suscitare meraviglia e a comunicare immagini di usi e costumi del periodo. E immagine di grande e curata bellezza trasmette la Betsabea del Sassoferrato, se il messaggio era quello di una donna capace di far innamorare così tanto un re da volerla fare subito sua sposa, malgrado tutto e tutti, e che il destino rese madre del grande e saggio re Salomone.
"Vidit David de solario Domus regiae Bethsabeam uxorem Uriae se lavantem: tulit eam". Reg. II. C. XI. - N. C. F. 44 (Dalla raccolta: "Sacrae Historiae Acta a Raphaele Urbin in Vaticanis Xystis ad Picturae Miraculum Expressa"" – 1649)
MOSTRA
"Sassoferrato dal Louvre a San Pietro"
La collezione riunita
a cura di Cristina Galassi e Vittorio Sgarbi
Complesso Monumentale di San Pietro in Perugia
8 Aprile- 5 Novembre 2017
“Da giovedì 6 luglio la collezione in mostra si è arricchita con l'esposizione di un capolavoro riemerso dal circuito del collezionismo: la meravigliosa Betsabea al bagno, la quale sarà per la prima volta esposta al pubblico. La Betsabea al bagno di Giovanni Battista Salvi, il Sassoferrato, è unico nudo che si conosca dell’artista, ispirato dai modelli che circolavano ai suoi tempi, ma capace di innovare donando la sua personale impronta. Il dipinto esposto all'interno della mostra "Sassoferrato dal Louvre a San Pietro" nel Complesso Monumentale di San Pietro, in prestito da un collezionista privato, consente di apprezzare un'ulteriore sfaccettatura nel percorso artistico del Sassoferrato, mostrando come la sua attività di pittore e copista sia stata talora mediata da incisioni e stampe che dovettero circolare nella sua bottega romana. Nella fattispecie, l'episodio veterotestamentario della Betsabea è ripreso fedelmente da una xilografia dell'artista tedesco Hans Burgkmair il Vecchio” (Cristina Galassi)
marilena badolato