LA CIARAMICOLA: 600 ANNI PORTATI BENISSIMO!
LA CIARAMICOLA ha almeno seicento anni, e se li porta benissimo. E’il dolce pasquale perugino per eccellenza caratterizzato da colori che celebrano la città umbra, ossia il rosso e il bianco. Indubbiamente in origine era un dolce della festa e di ceti abbienti, vista la ricchezza degli ingredienti, i costosissimi zucchero e alchermes. Un dolce dalla storia secolare, che era già presente a Perugia e nei borghi vicini nel XV secolo: in un testo di cucina umbro del tardo Medioevo si racconta che il Camerlengo – l’amministratore dei beni della città – di Gubbio stanziò del denaro per offrire ai cittadini una specialità chiamata Ciaramigola, in occasione della festa di Sant’Ubaldo del 15 maggio.
QUESTA CIAMBELLA pasquale alcuni affermano che deriverebbe il suo nome da Ciaramella, risalente al XIII secolo, un neologismo usato per indicare la forma circolare del dolce che riprodurrebbe la base circolare dello strumento musicale, la campana ampiamente svasata e con la funzione di amplificare il suono. Oltre alla campana la Ciaramella ha un fusto, con alcuni fori digitali e di accordatura, solitamente costruito in legno d’ ulivo, molto duro, che difficilmente si gonfia di condensa, creata da quella saliva che si deposita all'interno delle pareti man mano che si soffia per emettere i suoni. Questo strumento musicale e popolare in tutto il centro sud dell’Italia, in origine non apparteneva al solo contesto pastorale, ma era inserito anche in altri ambienti celebrativi e musicali, in occasione di festeggiamenti e sponsali. E la sua presenza ben si accorderebbe con la preparazione della Ciaramicola: era infatti la preziosa ciambella che secondo la tradizione veniva regalata dalle giovani fidanzate ai loro promessi sposi nel giorno di Pasqua.
ALCHERMES è un liquore italiano di colore rosso cremisi che veniva prodotto a Firenze già nel XVI secolo, sembra inventato per la nomina cardinalizia di Giulio de’Medici, il futuro papa Clemente VII. La colorazione rossa, fino a poco tempo fa, era data dalla macerazione di un insetto parassita della quercia, una cocciniglia, all’epoca importato dalla Spagna per colorare i tessuti, il cui nome deriva dall’arabo qirmiz, scarlatto. Ma sembra liquore molto più antico, medievale, preparato come elisir di vita dalle sorelle dell’Ordine di Santa Maria de’ Servi, sempre a Firenze, ovviamente non contenente la cocciniglia, disponibile sul mercato europeo solo dopo il 1500, ma forse il Kermes, kermococus vermilio, un insetto simile, ma di largo intenso impiego e quindi destinato ad esaurirsi e dal colore molto meno intenso. Le proprietà coloranti della cocciniglia sono note da tempi remoti, risalenti addirittura alle civiltà precolombiane e, con le conquiste spagnole, divennero popolari anche in Europa. Dai corpi di alcune specie, afferenti ai generi Porphyrophora, Kermes e Dactylopius, venivano estratti i coloranti rosso carminio e rosso vermiglio, utilizzati fin dall'antichità, per tingere stoffe e altri manufatti.
L'ASPETTO DELLA CIARAMICOLA è carico di significato: piccolo pezzetti i pasta venivano distribuitaìi sulla superficie della ciambella in modo da formare cinque piccole ‘collinette’ che simboleggiano i rioni storici di Perugia – Porta Sole, Porta Sant’Angelo, Porta Susanna, Porta Eburnea e Porta San Pietro- e al centro della ciambella in origine vi era una croce, fatta con due strisce di pasta sovrapposte, che voleva richiamare Piazza IV Novembre con la Fontana Maggiore e il Duomo, centro pulsante dell’Acropoli. Sempre originariamente, ma impasto molto diverso, più consistente, la superficie della Ciaramicola presentava sopra il foro della ciambella una griglia di zucchero a imitare il rosone del Duomo come mi raccontò un tempo Carla Schucani, artista della storica pasticceria Sandri. Oggi addirittura viene anche preparata di forma allungata, forse per agevolarne la vendita tagliata a porzioni, dimenticandone la storia.
PER alcuni, il nome Ciaramicola deriverebbe da ciara, volgarizzazione del latino clara (chiara) che verosimilmente fa riferimento all’albume fatto rassodare sulla superficie del dolce e mica alla consistenza della pasta. Non escludendo questa ipotesi e, da storica dell’alimentazione e antropologa, considero lo studio in continuo aggiornamento e quindi mi ripropongo di tornare sull’argomento dopo ovvie, ulteriori consultazioni.
marilena badolato