LE ERBE DI GUSTO: LE NOSTRE ERBE SPONTANEE COMMESTIBILI
Cultura, conoscenza, gusto, affetto, ricordo, memoria, terra. Si respira passione stasera in questo incontro che profumerà di erbe spontanee del nostro monte Subasio, zona Assisi- Spello-Foligno, lo stesso monte dove Francesco si rifugiava in meditazione con i suoi compagni.
Partiamo dall’etnobotanica, affascinante tema, storia di gruppi etnici, di unità rurali depositari di antichi saperi e antichi sapori, conoscenze ataviche gastronomiche unite allo studio delle caratteristiche di ciascuna erba spontanea, ovviamente commestibile. Scorrono le immagini di piante tante volte intraviste e mai raccolte per paura dell’ignoto. Sembra si conoscano tutte, ma a ben vedere, molte si somigliano e possono indurre in errore. Perizia, allora, e conoscenza e tecnica per creare quella fantastica sinfonia di sapori che è la nostra misticanza.
Il professor Aldo Ranfa, botanico naturalista, elenca le specie note e meno note. Importanti scientifici nomi latini si sovrappongono ad affettuosi nomi che la tradizione popolare, raccoglitrice, ha attribuito alle piante per il loro aspetto, o per il colore del fiore o per la forma delle foglie o semplicemente per una consuetudine dei luoghi. Magici nomi, fiori di macerone, lo Smyrnium olusatrum, individuati già come prelibati da Columella, o il ranuncolo tossico, bello, ma da evitare accuratamente. Ma se il Ruzzante esalta la stagione primaverile, favorevole e propizia agli uomini che possono finalmente nutrirsi dei doni spontanei della natura, già a fine ‘600 si parlerà di etnobotanica, con il primo concetto di specie e compilazione di una flora europea, e nell’800 si arriverà alla concettualizzazione di una vera e propria scienza: la fitoalimurgia, studio delle erbe commestibili per render meno grevi le carestie. Sapori dolci, sapori amari, sapori decisi, è la classificazione“semplificata”che ci viene offerta stasera: dolci come i crespigni-, amari come il tarassaco, decisi come la rucola. Seguono la piola o pioletta; i mastrici o lattugaccio; la ginestrella- colonizzatrice di terre dismesse-; la portulaca; i caccialepre, nelle cui vicinanze si appostava il cacciatore per catturare l’animale che ne era ghiotto; la lattuga spontanea, non buonissima, ma da citare perchè importante progenitrice della lattuga che giornalmente consumiamo. Alcune di esse si consumano cotte come la barba del frate, l’ingrassaporci, l’erba brusca, la bardana. Piccola curiosità sulla lactuga virosa, tossica, che serviva a preparare il lattucario: da una incisione nel fusto si ricavava il lattice che veniva somministrato come calmante, quasi un narcotico, un valium ante litteram insomma.
Passione, impegno, amore per la propria terra, tradizione familiare e…un pizzico di follia. Certo, mutevoli siamo noi che ci occupiamo della componente sensoriale più mutevole al mondo: il gusto. Maria Luisa Scolastra, chef di Villa Roncalli a Foligno, esordisce parlandoci della sua famiglia e dell’ impresa familiare legata da sempre ad una ristorazione di gusto e verità. Di una madre maestra di vita e di sapori, che non c’è più, ma che ha lasciato eredità d’affetti e di maestria. E del libro delle sue ricette Il gusto delle stagioni, la cucina umbra di Maria Luisa Scolastra, da poco pubblicato, con testi di Judith Stoletzky e immagini, splendidi scatti, di Justyna Krzyzanowska, che parlano dei luoghi attorno a Villa Roncalli, con le foto di Maria Luisa che sceglie e coglie queste erbe spontanee o quelle dell’orto accanto al ristorante, studia guarda immagina e crea mentalmente una nuova ricetta. “ Quando cucino dimentico il mondo…” rivela, e la passione si sente nelle parole interrotte indefinite e profonde. E’ così: nessuno farebbe questo mestiere senza passione, che poi si sposerà con conoscenza, tecnica, rispetto della tradizione, amore del territorio.
Le erbe spontanee commestibili, poco prima elencate e illustrate, diventano ora piatti, si sposano in saporite frittate-perizia di una morbidezza in bocca che solo l’uovo appena rappreso può dare-, fanno da letto colorato e aromatico accogliendo preziosi sformati, scivolano in scodelle accanto ai nostri legumi più rari, la magica roveja, o usuali, come gli antichi ceci, donano l’imprevedibile gusto a creme o passati, e la commozione di un ricordo a zuppe di casa, magari con la consapevole salubrità che l’oggi assegna ai cereali antichi, il nostro prezioso farro, infine appaiono nella variopinta miscellanea di fresche insalate, quella antica misticanza ancor dalle nostre parti così appellata.
E scorrono intuizioni, tra le parole e le ricette del libro e le foto, superbamente scattate, di eccellente materia prima, che oggi è questo la nostra cucina, e di stupendi ambienti, che è ancora questa una fetta d’Umbria incontaminata.
marilena badolato maribell@live.it 8 febbraio 2013