AREZZO: MOSTRA “IL TEATRO DELLE VIRTU’”. GIORGIO VASARI: UT PICTURA POESIS.
IL VASARI dalla pittura e l’architettura al prestigio letterario. Si potrebbe riassumere così non solo la vita artistica del Vasari, ma in generale la stessa aspirazione della pittura a partecipare di quel prestigio tradizionale che godeva la letteratura almeno dal XVI al XVIII secolo.
IL TEATRO DELLE VIRTU’, l’ interessante mostra aretina, ci mostra un Vasari artista di corte prediletto del duca Cosimo de’ Medici nella Toscana della seconda metà del Cinquecento. In ben otto sezioni ecco opere che offrono al visitatore molteplici aspetti della sua opera: l’artista, l’architetto degli Uffizi e delle Logge, i carteggi privati, la famiglia, la fama infine come scrittore, l’incontro e il favore dei Medici e il “manierismo” appreso proprio in quella corte, l’amicizia con Michelangelo, la fedeltà in fondo ad Arezzo, la sua città, nella quale volle essere sepolto.
IN MOSTRA diversi documenti che vengono dai vari archivi e prestiti, carteggi per lo più privati, tra cui il contratto di matrimonio per procura con la giovanissima Nicolosa Bacci di ricca famiglia aretina, una lettera autografa di Michelangelo, suo caro amico fraterno, e il disegno del famoso Corridoio Vasariano, creato a Firenze per i Medici che rivela anche la figura dell’artista-architetto innovatore. Il Vasari celebrerà nelle Vite l’importanza del “disegno padre delle arti” come pratica conoscitiva, ma anche come ideazione e progettazione alla base di ogni opera di pittura, scultura, architettura o arte applicata come gli apparati effimeri che creò in occasione di nozze importanti. Moltissimi i disegni qui esposti e provenienti da Torino, da Vienna, da Roma, dagli Uffizi e dal Louvre, tra i quali gli schizzi e i cartonetti preparatori per il Giudizio Universale della Cupola di Santa Maria del Fiore, completata poi da Federico Zuccari.
L’APOTEOSI DELLA VIRTU’ rimanda a tutta quella carica di simboli noti e meno noti che compongono immagini cariche di significati allegorici che trasformano il tratto pittorico in “opera di maniera”. E in fondo simboli e allegorie erano il soggetto principale della Arte di Corte. E anche il tema sacro si carica di soggetti intessuti di un linguaggio allegorico universale, come nei gonfaloni da processione (dove appaiono meravigliosi calzari, che saranno un tema ricorrente del Vasari) o nelle pale d’altare, alcune delle quali qui esposte per la prima volta, come la Sacra Famiglia e la Crocifissione di due collezioni private, e i tondi provenienti dagli altari di Santa Maria Novella. Questo linguaggio per immagini e invenzioni visive fantastiche, tanto che potremmo considerarlo quasi un precursore delle “scene” teatrali, fu apprezzato non solo dai Medici, ma anche da alcuni pontefici e alti prelati e fu ad esempio il cardinale Alessandro Farnese, suo estimatore, che lo convinse a scrivere le Vite.
IL Ritratto del duca Alessandro de’ Medici appare quasi come poema celebrativo scritto coi colori e coi pennelli. Persino l’armatura lucente diventa metafora del principe poiché “il principe dovrebbe esser tale che i suoi popoli potessero specchiarsi in lui nelle azioni della vita”. Persino le sue capacità di creare immagini iconografiche inedite dipendono sempre da fini e scopi teorici. Come ne l’ Allegoria della pazienza, dove propone una lettura originale, un motivo elaborato con la partecipazione del suo amico Michelangelo e di Annibal Caro, su richiesta del vescovo di Arezzo Bernadetto Minerbetti,. Ed ecco allora una donna nuda a braccia conserte, (citazione dal Giudizio universale di Michelangelo) per sottolinearne la disposizione d’animo, colta mentre osserva una goccia che cade da una orologio ad acqua e aspetta paziente che consumi la roccia, con un motto di Annibal Caro, “diuturna tolerantia”.
LA CHIMERA, che affascina di bellezza etrusca tutta la mostra, fu scoperta ad Arezzo al tempo del Vasari il 15 novembre 1553, e portata trionfalmente a Firenze dove rimase in Palazzo Vecchio quale emblema del potere mediceo di Cosimo. Venne poi trasferita presso lo studiolo del Duca a Palazzo Pitti, in cui, come riportato da Benvenuto Cellini nella sua autobiografia, “il Duca ricavava grande piacere nel pulirla personalmente con attrezzi da orafo.” Nel 1718 venne portata nella Galleria degli Uffizi e in seguito trasferita presso il Palazzo della Crocetta, dove si trova tuttora, l’odierno Museo archeologico di Firenze. Il mitico mostro ucciso da Bellerofonte, racconta il mito, il cui artefice sembra si sia ispirato a un passo dell’Iliade: il corpo di un leone, sulla schiena la testa di una capra e un serpente come coda.
QUESTO “Teatro delle virtù” che accompagnò tutta la carriera del Vasari può essere in fondo visto come una sorta di traduzione per immagini di quel pensiero che l’artista avrebbe poi organizzato con maggiore sistematicità nelle Vite.
marilena badolato