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PER SAN GIUSEPPE UN GIRO D’ITALIA TRA FRITTELLE E… UNA TIRA L’ALTRA.

L’ITALIA il 19 marzo profuma di frittura. Antica storia di povertà e grasso bollente (fritta è buona anche una ciabatta, recita un noto proverbio) raccontata da nord a sud della penisola, ognuno a suo modo, con la sua tradizione. Un friggere e zuccherare ovunque.

 

A ROMA la Confraternita dei falegnami, di cui Giuseppe è patrono, festeggiava San Giuseppe fino alla metà dell’Ottocento con celebrazioni e copiosi banchetti dove troneggiavano grandi bignè alla romana, ripieni di crema pasticcera, una prelibatezza tanto decantata anche dal noto poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli. Esistevano anche frittelle di riso, chè piacevano all’aristocrazia e ricca borghesia. In un pranzo offerto dal Cardinale Panfili al Conte Bussi nel 1682 a Nettuno, nella nota spese ritrovata nell’archivio segreto della famiglia, si legge “ha preteso la presenza delle dolci frittelle di riso”. Nel viterbese ancora oggi le frittelle di san Giuseppe sono di riso, ma arricchite di abbondante uvetta e pinoli.

 

ANCHE IN TOSCANA, nelle Marche e da noi in Umbria sono frittelle di riso, precedentemente cotto nel latte e profumato di vaniglia o cannella e rum o mistrà, ma nel Maceratese esistono anche con molti tipi di impasto, di patate, di polenta, di pasta di pane addolcita. In Romagna invece nelle famiglie ravennati di inizio ‘900 le frittelle di riso erano un dolce tipico del 29 giugno per la festa dei Santi Pietro e Paolo. A Modena il proverbio Per San Iusef, bòtta via al prèt da let. per San Giuseppe butta via il “prete” dal letto, stava a significare che le giornate erano meno fredde e non serviva più il “prete” inserito nel letto a donare tepore (il prete era un oggetto in legno dalla forma ovoidale che teneva sollevate le coperte e le scaldava. Aveva nella sua parte più larga una piattaforma sulla quale veniva posto un recipiente, lo scaldino, all'interno del quale venivano messe braci coperte di cenere, in modo che non facessero fumo, né si spegnessero troppo presto). Nel giorno di san Giuseppe si svolgevano fiere, con bancarelle di dolci e giocattoli, artigianato, ma soprattutto con piccole friggitorie dove si potevano gustare gnocco fritto, crescentine, frittelle di riso. Oggi a Modena sono frittelle piccole, rotonde e ricoperte di zucchero semolato, mentre sono tortelli di san Giuseppe nel piacentino.

 

NEL MOLISE, a Riccia, vessilli della devozione a san Giuseppe sono i calzoni farciti con una crema a base di ceci, che vengono scambiati tra parenti e amici in prossimità del 19 marzo. Alla base della ricetta vi è la ricerca di ingredienti genuini, il rispetto di un rigido rituale tramandato rigorosamente di madre in figlia per una delicatissima sfoglia che racchiude il setoso ripieno. In Abruzzo oltre alle tradizionali zeppole, nella città de l’Aquila il giorno di San Giuseppe si possono trovare anche le ciambelle fritte di patate. A Genova troviamo le friscieu, frittelle salate o dolci, mentre a Milano sono tortelli vuoti di san Giuseppe, fritti sofficissimi che si gonfiano in cottura, mentre una variante da provare sono i làciàditt, tortelli fritti ripieni di mela (a Mantova esiste anche la versione con l’uvetta al posto delle mele). A Voghera e in val Staffora si chiamano fersò. Si preparano con due tipi di pasta, una lievitata,- fersò con il carsèn -e una detta pignola, un tempo si mangiavano dopo il vespro di san Giuseppe. 

 

ZEPPOLE con varie forme costellano tutto il Sud Italia. A Napoli, città regina delle zeppole, ne esistono di diversi tipi: ciambelle con impasto a base di patate aromatizzato alla cannella, le paste cresciute che sono frittelle di pasta lievitata spolverizzate anche di sale, e quelle realizzate con la pasta dei bignè, la choux, dalla forma classica a ciambella e sormontate di crema e amarene sciroppate. Stessa forma e decorazione classiche nelle pugliesi  zeppole di San Giuseppe, mentre in Calabria hanno un ripieno differente a base di ricotta, zucchero, cannella, scorza di limone grattugiata e vaniglia.

 

GRANDE tradizione pasticcera in Sicilia per la festa di san Giuseppe. A Catania sono le crispeddi, crespelle di riso eredi della tradizione monastica benedettina mentre in altre parti della Sicilia sono le grandi e spugnose sfinci di san Giusepppe, prodotte in occasione della festa, farcite con morbida ricotta, frutta candita e gocce di cioccolato e decorate con miele o zucchero e granella di pistacchi, mentre nel Trapanese ne esiste una versione di patate e di dimensioni più piccole. Si racconta inventate dalle suore del Monastero delle Stimmate di San Francesco secoli fa come dolci poveri coperti di miele- sfinci ammiliati -da consumare per la Festa del 19 marzo, e nel tempo i pasticceri locali ne arricchirono progressivamente le caratteristiche. Le rinomate sfince di San Giuseppe di Palermo, sono ricolme di ricotta arricchita da scorza di arancia candita. Nei Nebrodi vengono preparate le Stelle e le frittelle di San Giuseppe, spolverate di cannella e zucchero. La tradizione siciliana vuole ancora oggi fare dono al Santo delle tavole di San Giuseppe: in molti paesi della Sicilia le famiglie usano invitare a pranzo, per voto, tredici ragazzini i “virginielli”, a rappresentare i Santi, allegoricamente Gesù, Giuseppe e Maria, ma anche i genitori di Maria, sant’Anna e san Gioacchino o i dodici Apostoli. La tavola viene imbandita di dolci e cibi particolari. San Giuseppe è anche patrono di Santa Croce Camerina, nel Ragusano, dove la festa è molto sentita e le cene di San Giuseppe sono ricche di tanti dolci con significati simbolici. Risaltano i cicirieddi, palline di pasta fritta disposte una sopra l’altra, in modo da formare una corona, ma anche cubaita, torrone, scaurati, mastazzola, mustata. Le sfinci d’ova o finci di San Giuseppe e durci a casa, sono invece tipici dolci delle isole Eolie per festeggiare il Santo.

 

 

(notizie e curiosità tratte da: Fritti, frittate e frittelle nella cucina della tradizione regionale, con oltre 200 ricette tipiche. Accademia Italiana della Cucina- Biblioteca di Cultura Gastronomica, 2020 Bolis Edizioni)

 

marilena badolato

AUTHOR - Marilena Badolato