QUI UMBRIA: IL MAIALE E’ MAGRO E IL BUE E’ GRASSO!
In Umbria ora il maiale è magro e il bue è grasso. Noi umbri costruiamo e creiamo rivolti sempre con uno sguardo indietro e uno avanti, verso il futuro. Sarà un fattore ereditato dal vecchio Giano bifronte, il dio che rappresentava appunto il passato e il futuro, che permea tutta la nostra storia e dona il nome a numerosissime località umbre: Giano, Torgiano Corciano, Pissignano. Lo stesso fiume Clitunno e zone limitrofe, erano frequentati dai Romani in cerca di vaticini dal dio che nei paraggi aveva il suo santuario..
Così abbiamo “ricreato”un maiale magro e un bue grasso.
Il maiale “magro” era il nostro della tradizione, con il cintino scapolare “d’argento attraversante”, che scorrazzava libero in regime brado, ed era rappresentato negli affreschi delle chiese spesso accanto a Sant’Antonio abate, o addirittura in stemmi nobiliari medievali, come quello dei Conti Porcelli di Carbonana di Gubbio. Il nostro maialino nero, con la sua bella cintina bianca, si nutriva di funghi ( il nome porcino deriva proprio da questa sua preferenza) e di ghiande, il frutto così usuale e comune dalle nostre parti da dare il nome persino a paesi e borghi. Oggi la carne di maiale, animali tenuti da alcuni allevatori allo stato semi-brado come un tempo, è quindi più magra di quella di una volta di almeno il 20%, con un tasso più basso di colesterolo e arricchita di acidi grassi Omega- 3, e parliamo della nostra zona suinicola d’elezione, la città di Norcia, che ha regalato persino il nome all’arte norcina di lavorare la carne del maiale. Questi maialini sono allevati dall’Azienda Agricola Il Quadrifoglio, e trasformati e lavorati dall’Azienda Agricola di Salvatori Alessandro e da Il Norcino di Pistoni Alessandro.
Il bue invece, il pacifico, utile bue era usato per lavorare i campi. La robustezza della razza chianina è proverbiale, come è proverbiale la tenacità della sua carne. Una carne muscolosa di animale abituato alla fatica. I buoi tiravano l’aratro e altro, dotati di una possente e naturale fisicità, ma ormai vecchi e inadatti al lavoro, venivano castrati, ingrassati per qualche mese e sacrificati poi sull’altare dei succulenti pranzi dicembrini. Antropologicamente potrei inserirlo nella serie del “non si butta via niente”, una serendipità unita a quella utilizzazione di tutto il materiale edibile a disposizione per una formula, una serie di credenze popolari, che da tempi immemorabili univano il sacro al profano, dove lo “spreco” era considerato “ peccato”. Oggi Michele Sisani dell’Azienda agricola Simba di Ponte d’Oddi, grazie alla disponibilità del Consorzio CCBI (Consorzio Produttori Carne Bovina Pregiata delle Razze Italiane) e di Valentino Gerbi della macelleria Santa Croce di Elce, ha “ ricreato” questo bue grasso umbro, un vitello ingrassato per quasi quattro anni, pronto a donare succulenza ai piatti. Una carne che rimane “da meditazione” proprio come un vino, da degustare con moderazione, per le “feste comandate” come si diceva una volta, visto anche il prezzo piuttosto elevato. Certo, una nuova spinta, un nuovo sprint ad allevatori, macellai, ristoratori che utilizzeranno il bue grasso nelle loro preparazioni per il popolo amante dei cibi carnei e succulenti. Della serie: T’amo pio bove…
marilena badolato maribell@live.it