ROVEJA:VALORE NUTRIZIONALE E ANTROPOLOGICO
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ROVEJA: VALORE NUTRIZIONALE
La Roveja, Pisum sativum, sub specie sativum, varietà arvense, differisce dalla varietà comune per il colore dei fiori e per i semi più piccoli e grigio scuri. Contiene proteine, carboidrati, fosforo potassio, vitamina B1. Il 7% di proteine e circa 75 calorie per 100 grammi di prodotto fresco che salgono al 21% di proteine e circa 300 calorie per quello secco. Il potenziale nutritivo di queste proteine, non essendo di origine animale, non è molto elevato, essendo carenti di aminoacidi solforati. Ha un contenuto elevato di glucidi, circa il 50% del peso secco, prevalentemente amido, e pentosani, destrine, galattani; un elevato numero di fibre, sia insolubili, come la cellulosa, nella buccia esterna, sia solubili che possono contribuire a regolare il livello di colesterolo nel sangue. Presenza anche di vitamina B1 e niacina. Pochi grassi, e ricchi di acidi grassi polinsaturi, che ne fanno un legume consigliato nelle diete ipolipidiche. ( Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Agraria, Dipartimento di Biologia Applicata).
ROVEJA: VALORE ANTROPOLOGICO
Biodiversità. Valorizzazione del prodotto e sostenimento del coltivatore. Queste colture hanno un rischio elevato di estinzione per vari motivi: 1) le coltivazioni sono soltanto locali e si trovano in aree marginali; 2) è un prodotto di frequente destinazione ad uso di nicchia; 3) la presenza di popolazioni rurali anziane, fautrici di questa conservazione; 4) l’ evoluzione dello status sociale più elevato e il minor consumo di un cibo povero; 5) il cambiamento negli anni di abitudini alimentari; 6) la mancanza di standard per le pratiche colturali; 7) la globalizzazione dei mercati e la omologazione delle produzioni. Quindi è necessaria una adeguata azione di conservazione con interventi ex situ come inizio, per poi proseguire con un intervento più ampio in situ per salvaguardare anche la diversità genetica. La biodiversità vegetale in Umbria e la sua conservazione. La perdita di una biodiversità genetica contribuisce ad un appiattimento culturale che comporta una perdita di tradizioni popolari, usi e costumi. Mentre la sua salvaguardia permette una conservazione e una valorizzazione della coltura e della cultura di quel territorio. Quella che gli antropologi chiamano Agricultura. La Natura, come ha ben illustrato il preside della Facoltà di Agraria, prof. Francesco Pennacchi, attua molto bene da sola la sua biodiversità, sta a noi uomini non alterare questo equilibrio.
Grazie ai Professori Francesco Pennacchi, Mario Falcinelli, Aldo Ranfa, Andrea Marchini, Enzo Torricelli, della Facoltà di Agraria dell’ Università degli Studi di Perugia.
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marilena badolato maribell@live.it