ROVEJA: STORIA
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ROVEJA: STORIA
Roveja, rubiglio, corbello, pisello dei campi, pisello selvatico, pisello grigio, field pea, pois gris, bisaille, klee erbser, arveja seca, arveja forrajera, chè foraggio era. La storia: a Preci, piccola frazione di Cascia, esiste l’antica Fonte dei Rovegliari, testimone del tempo che questo legume, Pisum arvense, rossastro, esisteva da sempre e che era ed è faticosa la sua raccolta. La troviamo citata per la prima volta in Plinio e Columella che usano maggiormente il vocabolo Pisum, intendendo sia il pisello che la roveja e sappiamo che la ritengono specie prelibata. Troviamo la roveja anche in un testo duecentesco, il Liber Commodorum Ruralium, 12 libri, un Trattato sull’Agricoltura con osservazioni e credenze aristoteliche, di Pier de’Crescenzi o Piero Crescenzio, giudice attivo a Bologna tra il XIII e il XIV secolo, contemporaneo di Dante, e che nell’età della pensione si ritirerà in campagna a scrivere. E’ in latino, ma verrà tradotto, anzi Traslatato nella favella fiorentina nel 1805 da Bastiano de’ Rossi cognominato lo’nferigno Accademico della Crusca. Crescenzio distinguerà la rubiglia bianca da quella nera, affermando la seconda essere meno pregiata della prima, e roveja e moco appariranno come foraggi per ingrassare agnelli e volatili. Il moco, simile alla veccia, specie foraggera soprattutto per piccioni e da sovescio (dal lat. subversus, participio passato di sub vertere, rivoltare sotto sopra, pratica agronomica che consiste nell’interrare apposite colture per aumentare o mantenere la fertilità del terreno, poichè queste leguminacee hanno la proprietà di fissare l’azoto atmosferico e di trasmetterlo al terreno). Ritroveremo la roveja in un testo classico di Agronomia di Corniolo Duca della Cornia o Corgna perugino, La Divina Villa lezioni di Agricoltura, del XIV-XV secolo. Ancora la Roveja in un documento del Comune di Montesanto (Sellano) che impone nel 1545 la coltivazione di certe civaie fra cui la roveja. Negli Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia, del 1811, il prof. Giovanni Brignoli annovera tra le coltivazioni tipiche del Metauro anche il Pisum arvense; il prof. Marro in Coltivazione delle piante erbacee del 1906, fa riferimento al rubiglio affermando che da cui si distsecondo molti il pisello dei campi o pisello grigio, è la forma originaria del pisello comune, da cui si distingue solo per il colore dei fiori e per i semi più piccoli e grigio scuri. Così il prof. Pisolini nel 1915, in Elementi di Agricoltura pratica per gli agricoltori della provincia di Macerata, afferma che la roveja era principalmente usata come pianta foraggera. Nel 1902 in un altro Saggio sull’Agricoltura Italiana, si legge: Devesi distinguere il Pisum arvense o rubiglio, originario d’Italia, dal Pisum sativum, di patria ignota, secondo alcuni della Russia meridionale […] I semi di rubiglio raramente si usano nell’alimentazione dell’uomo, ma sono eccellenti per l’ingrasso dei montoni, dei maiali, dei volatili. Essi somministrasi cotti, oppure crudi, e allora semplicemente frantumati o ridotti in farina. (Saggio storico e bibliografico dell’Agricoltura italiana, Vittorio Niccoli, Torino 1902)
Oggi somministrasi in nuove e invitanti ricette, oltre la tradizionale zuppa di roveja, in polentine, sformatini, in aspic e golose tartine. Raccomandati anche per le loro proprietà nutrizionali.
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marilena badolato maribell@live.it