TEATRO CUCINELLI-SOLOMEO: THE SUIT, LUI LEI E IL VESTITO (DELL’ALTRO)
Lui, lei e il vestito dell’altro. Feticcio ingombrante, mano a mano angosciante e foriero di morte. E la vicenda personale si mescola, si aggroviglia con quella sociale dove la morte è ogni giorno, fuoco e fiamme permeano la città, ogni scusa è buona per eliminare qualche nero. Aria chiusa di apartheid dentro e fuori le mura domestiche, in un racconto in apparenza leggero, a tratti quasi comico, come è la comicità più vera, quella surreale e triste.
A long time ago…,inizia così la fiaba terribile di The Suit , L’abito, che dà il titolo alla piéce tutta in inglese, con sopratitoli, come il testo originale, un lavoro bandito dal regime, perché di scrittore nero sudafricano Can Themba, morto in povertà nel 1968. Reso miracolosamente leggero e nello stesso tempo profondo dall’arte del regista Peter Brook.
Il paese di Sophiatown non era roseo né bello, ma ciò che faceva di questo paese un posto speciale era la sua gente, i pensieri, i talenti fiorivano come fiori della giungla. Tromba, chitarra, fisarmonica e piano, e canto del dolce amaro presente e passato del nostro paese, jazz delle townships, per un trio di musicisti fantastici che non accompagna, ma partecipa alla vicenda, è dentro la scena. Così inizia la storia di Matilda e Philomen.
Le mattine sono festanti e gioiose, i risvegli dolci tra questa coppia giovane e innamorata, I feel good, cantano, fino a quando una voce non rivela a Philomen che c’è un altro…-chiacchiere da bar quei locali clandestini dove i sudafricani neri si riuniscono per parlare di vita, di politica, di problemi sociali, mentre intanto anche l’ingresso in chiesa è vietato agli animali e ai neri…-tradimento, meccanismo complesso senza un vero perché, scariche elettriche che vanno da un terminale all’altro, Philomen mentre torna a casa per scoprire i due amanti sente gli ingranaggi stridere e fischiare la testa, un tragitto infernale. Arrivato li vede, li sorprende, l’amante scappa, fantasma della vicenda, ma lascia la sua olezzante impronta: il vestito che, come panno sporco, permeerà tutto il racconto. Da oggi Tilly, impone Philemon, questo sarà il nostro ospite, da trattare con ogni riguardo, condivideremo tutto con lui , avrai cura di lui meticolosamente. A tavola l’ingombrante ospite, appeso sulla sua gruccia, siederà tra loro con tutti i riguardi del caso, ogni pasto e ogni giorno; uscirà persino con loro per una passeggiata, precipitando Tilly nel malessere profondo di un perenne ricordo d’adulterio. Nemmeno l’organizzazione a casa di un party, a cui sono invitati spettatori del pubblico, riuscirà ad alleviare il dolore…-ma ancora omicidi all’ora del coprifuoco, quando le strade sono semi deserte; stanno costruendo una nuova città per parcheggiarci tutti lì, un bantustan a 20 miglia da Johannesburg, niente più musica amico, e la chitarra tace. Southern trees bear strange fruit, blood on the leaves and blood at the root..: gli alberi del sud producono strani frutti, sangue sulle radici e sulle foglie. Senti il profumo di magnolia pulito e fresco e poi l’odore improvviso della pelle che brucia…- inizia il party, arrivano gli ospiti ricevuti con grazia e gioia da Tilly che canta Malaika, Angelo mio,- è la voce stupenda di Nonhlanhla Kheswa- canzone della Tanzania dedicata ai sogni e a coloro che non possono avere ciò che sognano. Ma arriva l’Abito, entra in scena portato da Philomen, presenza amara, triste baluardo di odio profondo. Lei è costretta a ballare abbracciata alla stampella e sarà l’ultimo ballo e l’ultima canzone: impallidisce, è irrigidita, gli ospiti se ne vanno, hanno capito
Lei ora è sola sul palcoscenico, l’abito bello, rosso sangue, si toglie gli orecchini, si siede, muore. Lui intanto pensa di perdonare- difficile perdonare se anche l’aria respira odio-, e torna a casa, ma lei giace immobile, inutilmente la chiama, la abbraccia, la tiene in grembo come una Pietà.
Si fa buio in sala, tutte le luci vengono spente, rimane accesa solo quella puntata sul pianista che suona. Strange fruit…
Il dramma personale e quello sociale, l’ intimo privato e l’universale di un popolo perseguitato, si uniscono. L’aria è irrespirabile di odio e sottile vendetta, di tristezza e rassegnazione. Il tutto in mezzo a suono, movimento, silenzio, parole e canto di voci fantastiche, mescolati a grande leggerezza e grazia di attori bravissimi.
Per gli uomini, la libertà nella propria terra è l’apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa idea. Nelson Mandela
TEATRO CUCINELLI –SOLOMEO
THE SUIT
Da: Can Themba, Mothobi Mutloatse e Barney Simon. Adattamento, regia, musiche: Peter Brook, Marie-Helene Estienne, Frank Krawczyk. Con: Rikki Henry, Nonhlanhla Kheswa (Matilda) William Nadylam (Philomen), Jared McNeil. Musicisti: Arthur Astier (chitarra), Raphael Chambouvet (piano), David Dupuis (tromba). Traduzione e sopratitoli Luca Delgado. Direttore di palcoscenico Thomas Becelewski.
marilena badolato maribell@live.it 14 marzo 2013