TEMPO DI CAPPELLETTI… IN BRODO.
TEMPO DI CAPPELLETTI. Tempo di storie e ricette di famiglia, del tramandare saperi e profumi di buono. Tempo che anche i figli, maschi, mettano oggi le mani in pasta a creare piccoli capolavori di gusto, anche se con la mascherina, perché, nonostante il covid, è tempo del buono da memorizzare e salvaguardare. Pasta, rigorosamente lavorata a mano, sfoglia rigorosamente tirata a mattarello, ripieno rigorosamente quello da decenni in casa nostra, vitello maiale pollo in percentuale diversa, noce moscata e parmigiano grattugiati e uovo, a creare il sapore di sempre. Per riconoscersi a tavola, anche in pochi, e gustare la ricetta che viene dai nonni dei nonni, dalle mamme, da noi oggi ai nostri figli e nuore o ai nipoti.
LA TAVOLA e il mattarello per impastare e lavorare una sfoglia trasparente con la rugosità del legno che passa e ripassa, mentre osservi e osservi il lavoro che cresce, e pensi e ripensi, e giri e rigiri di un ottavo che ristende e regala il tondo perfetto e l’impronta diversa. Tutto quello che renderà diversi i nostri cappelletti.
GUAI a chiamarli tortellini, quelli hanno il piccolo foro centrale, girati attorno all’indice o addirittura al mignolo, come fanno in Emilia a renderli piccoli e ancora più piccoli. I nostri, chiusi a cappello, sono pingui di succosa farcia, densi di godurioso ripieno che spesso si fonde e confonde nel saporito brodo, parlando di sé. Brodo, possibilmente di cappone, chè accapponato, il volatile regala carni succose e morbide, per un delizioso “bollito” da gustare poi con la semplice salsa verde o la sontuosa mostarda.
ED è una gioia insegnare il rituale dei cappelletti “amanuensi”, ricostruire il natale degli avi, chè quei cappelletti quel giorno erano la ricchezza di quei tempi e tutti partecipavano quindi al rito della chiusura. E noi bambini “tenevamo il conto” di quelli preparati, allineandoli in un telo bianco profumato di lino, ripassando così le “tabelline” lungo le file perfette.
IL NATALE era il trionfo dei crostini di rigaglie, dei cappelletti in brodo, del cappone lessato, dell’arrosto, per epe capienti, della parmigiana di gobbi, della "campagnola" l'erba di campo, dei dolci, le pinolate della Carla Schucani così ricche, quasi “rotolate” nei pinoli, le pinoccate bianche e nere di cacao, il torciglione, l’anguilla di pasta di mandorle a ricordare la favola bella di Agilla e Trasimeno. E non mancavano il panettone e i torroni e i mandarini a “ripulire” la bocca, le cui scorze, gettate nel fuoco dei nostri caminetti, profumavano l’aria del Natale.
marilena badolato