TROMPE L’OEIL: UNA “ANATOMIA DELL’IRREQUIETEZZA”.GALLERIE DEI GEROSOLIMITANI-PERUGIA
Il Trompe l’oeil, una anatomia dell’ irrequietezza, prospettiva e chiaroscuro trascinanti dentro l’opera dove affoghi nello stupore, spettatore destabilizzato nel tuo sistema percettivo. Se ne esci e riemergi, noti la finezza dei particolari, la puntigliosità del tratto, l’immensa realtà di un reale che poi non vuole esserlo affatto. E l’illusione di esserci dentro, che la parete che divide non c’è. L’occhio così si lascia ingannare dall’artista che vuole confonderci nel prolungare il reale nell’immaginario. Perché siamo noi a voler essere ingannati, stupiti, catturati da una sinergia tra spettatore e opera, che finalmente può essere presa e compresa. Un corpo a corpo di illusione e realtà. Nel complesso rapporto tra opera d’arte e paesaggio abitabile, si nasconde e cela il complesso rapporto tra paesaggio esterno e mondo interiore, tra quello che vediamo e quello che vorremmo vedere. Attraverso una meticolosa tecnica: attenzione ai particolari, a ogni dettaglio, sfumature di luce e gradazioni di colore perfettamente integrate. Solo così il lavoro a due dimensioni può sembrare tridimensionale, solo così l’occhio cede e si lascia ingannare. Entrando è la Fontana Maggiore che ti cattura e ti sorprende con il suo Corso a corredo, l’avevi lasciata poco fa in Piazza IV Novembre e ora è qui, davanti a te ad abbellire questa sala già bella della galleria. Averla qui e potersi sedere per osservarla meglio, ma sedere nel quadro, nel dipinto, che la panca è lì al suo interno e così la fontana e così la stanza di questa galleria. La stanza è nella stanza, inganno nell’inganno, un complesso rapporto tra opera d’arte e spazio, questo di Alessandro Papetti in Corso Vannucci, olio su tela. Desiderio di possedere l’impossibile attraverso questi sfondati illusionistici, di far propri monumenti e paesaggi imperdibili o di ingrandire, abbellire, ingentilire luoghi altrimenti poveri di storia e di bellezza, ma il significato in realtà è ancora più sprofondato nei meandri dell’inconscio. Da sempre siamo attratti dall’idea di ciò che è nascosto, ciò che è dietro o dentro. L’ombra, il chiaroscuro e l’ombreggiatura svelavano già nel mondo antico, che la vera fonte dell’arte era il desiderio di captare e catturare oltre la realtà. Così in parete un trittico di magistrale inganno: la enigmatica Restauratio di Dino Valls, una cerebrale restitutio ad integrum potremmo dire, la figura femminile di androgina bellezza entra nel corredo del vecchio barbuto, lo attestano i pulviscoli rimasti, le piccole particelle di colore verde della tela e i particolari si muovono a comporre uno straniante puzzle, antica tecnica di nascondimento con pennellate decise, lasciando alla posterità del restauro il dubbio, l’enigma di una scoperta sotto la prima patina del colore. Qui nascondimento di un mito, celato due volte: la giovane figura femminile e il vecchio con barba, prendono spunto dal mito di Epimeteo e Pandora con i mali del mondo chiusi a chiave dentro una scatola, aperta la quale sarebbero usciti tutti insieme e sarebbe rimasta solo la speranza, elpìs si legge in greco nel cartiglio sotto la fanciulla. Ma la speranza, identificata nel piccolo libro che appare e che custodisce un codice genetico per le generazioni future, è racchiusa di nuovo da Epimeteo all’interno della scatola, che dipinge persino il suo autoritratto sopra quello della donna, a coprirlo completamente: si intravede solo in basso, nascosta, quella chiave che ha privato il mondo anche della speranza. Nascondimento di volto nel volto, trasfuso e celato, quel celare il proprio desiderio nascosto sotto mani di colore, di vernice e poi dare una chiave per interpretarlo, facendolo diventare dettaglio, dettagli quasi fisiognomicamente aderenti all’originale. I rossori del viso, i bagliori degli occhi di questa fanciulla- elfo rivelano, sotto chiavi e chiavistelli e serrature, l’arcano. E lo ricompongono e scompongono, scompongono e ricompongono a seconda se lo sguardo gira da sinistra a destra o da destra a sinistra, quasi magico puzzle di pezzi che tornano al loro posto, conoscenza profonda di tecnica anatomica. Nella parete accanto gli animali del trompe l’oeil: Pister Pander con Attenti ai cani, infatti escono dalla tela e si guardano intorno, o Dennis Mogelgaard con Coccodè, olio su tavola del 2013, dove la gallina, curiosa e non certo spaventata, direi anzi sicura di sé, fa il verso al celebre adolescente di Pere Borrel del Caso. La pistola di Arnout Van Albada persegue il tema classico olandese degli oggetti appesi a un filo in parete, in Filo a piombo. Tema della caducità della vita invece ritorna in Elogio della polvere di Agostino Arrivabene con il teschio simbolo della vanità terrena. Accanto Kik Zeiler e il suo Delirio, un contenitore armadietto appeso in parete da cui fuoriescono mani che sembrano volerti afferrare per trascinarti dentro. Henk Helmantel con Secchio, aglio e scatola rossa, ci delizia con particolari di leggerezza, di nitore, di precisione straordinari. Inganno è il pacchetto postale perfettamente chiuso con spago che Maurizio Bottoni si è spedito, con indirizzo e francobolli inclusi. Accanto Babylon di Lars Lehmann, olio su tavola, è un falso caos di oggetti sorretto da una ideologia e un messaggio a rappresentare i linguaggi e le ideologie di un mondo, ormai solo grande contenitore di contenitori che misurano e contengono acqua, un bene prezioso, o petrolio: taniche, bacinelle, brocche, innaffiatori da giardino, oliatori, tutti appoggiati, ammassati e esplosi all’esterno, in una grande scala che è la Torre di Babele che li spinge verso il cielo e dal quale, per condanna, sono catapultati verso la terra e verso di noi. In basso, a destra, ultimo lembo di vita, una rosa, ma anche lei recisa e in vaso, ennesimo contenitore. Il riferimento, nelle intenzioni dell’artista è all’Iraq, zona di guerra, con il suo annoso problema dell’acqua, dove è collocata l’antica città-torre di Babele-Babilonia.
Continua-
marilena badolato maribell@live.it